Un “Mare di fuoco” in mostra all’Oratorio di San Mercurio a Palermo
“[…] Mare ti prego falli passare, mare nostro mare”. “Mare di fuoco” perché di un mare in rivolta si tratta, un mare che con le sue eterne contraddizioni e la sua ferocia non è quasi mai in grado di garantire la sopravvivenza dei profughi che bagnano di lacrime, lacrime di dolore, le nostre splendide coste.
Un mare che finisce poi per tingersi di rosso. Persone come noi che preferiscono essere risucchiate dal mare, piuttosto che rimanere, ancora per un giorno, testimoni delle atrocità della guerra.
La mostra “Mare di fuoco”, inaugurata il 16 giugno scorso, chiuderà giovedì prossimo. Allestita all'Oratorio di San Mercurio a Palermo e organizzata con la collaborazione delle associazioni culturali Bobez e Amici dei musei siciliani, raccoglie alcuni celebri dipinti di tre artisti siciliani contemporanei: Fabio Marabello, Giuseppe Cuccio e Ignazio Schifano.
I tre artisti presentano stili pittorici estremamente vari fra loro, tanto che la conflittualità intriseca già alle loro opere, si esprime anche attraverso l'abbinamento di tecniche le une molto diverse dalle altre, che creano un contrasto notevole.
Da un lato busti, volti in terracotta che richiamano la bellezza e l'equilibrio dell'arte classica, dall'altro tele astratte, lavorate come a voler dare consistenza e concretezza all'opera pittorica.
Questo mare, come è possibile evincere dai dipinti di Marabello, esponente di rilievo dell'arte informale-concettuale, da una lato rappresenta una sorta di passaggio, una porta attraverso cui accedere a un nuovo mondo, una nuova vita.
Dall'altro invece esprime un'impossibilità comunicativa, un accesso negato.
La pittura monocroma a questo proposito è spessa, ricca di irregolarità e turbata poi dall'installazione sulla tela di serrature, maniglie, anche esse dipinte senza variazioni di colore, alternativamente in giallo, rosso, blu, bianco.
Il tutto incastonato in uno splendido scrigno di tesori creato da Gaspare Serpotta.
Un oratorio barocco, mai eccentrico, che dimostra come alle volte la bellezza sia invisibile agli occhi di chi guarda senza osservare. (Fotografie di Giorgia Albanese)