Terremoto1908. Lotta di classe a Messina e analisi del declino
MESSINA. Agli albori del Novecento borghesia imprenditoriale e lavoratori si cimentavano con due sfide complementari, che i tragici evento del terremoto del dicembre del 1908 interruppero tragicamente. Intorno al porto di Messina, alle attività agrumarie e in generale all'import-export delle produzioni siculo-calabresi era cresciuta nella fine dell'Ottocento una classe imprenditoriale attiva e segnata da numerose presenze straniere, soprattutto inglesi. Il mondo del lavoro, forte delle esperienza dei Fasci Siciliani, si andava organizzando intorno alle figure di Giovanni Noè e Nicola Petrina. Prendevano cosi forma le leghe, i circoli, i giornali: tutti strumenti pionieristici di un'organizzazione ancora embrionale.
Nel dibattito interno al nascente Partito Socialista, sulla scorta della reazione alle leggi liberticide di Pelloux, nell'estrema sinistra prevale la scelta di procedere ad intese ampi (Unione dei Partiti Popolari) con radicali, repubblicani e liberaldemocratici. A Messina era attivo un ampio fronte laico cementato dalla militanza massonica di diversi esponenti delle varie forze politiche, che si agganciava alla figura di Ludovico Fulci. Un blocco di forze che nel 1900 conquistò la maggioranza del consiglio comunale (40 seggi su 60) con una nutrita presenza di consiglieri socialisti (14). Nel contempo, alle elezioni per il parlamento nazionale fu eletto proprio Giovanni Noè, primo deputato socialista nella storia della città.
La luna di miele del blocco popolare durò un paio di anni. Il sindaco Antonio Martino si allontana da Fulci, i socialisti sono lacerati da divisioni interne e così nelle elezioni del 1904 Noè perde il suo seggio parlamentare al ballottaggio con Giuseppe Arigò, candidato clerico-moderato. Inutile ricordare che la rappresentatività della politica parlamentare era ristretta a causa dei limiti dell'estensione del diritto di voto in base all'istruzione e al censo. In ogni caso, le vicende del blocco popolare rivelano alcuni dati che saranno enfatizzati dopo il terremoto.
A Messina non esistono grandi masse operaie e i socialisti, sia a livello politico che sindacale (nel 1900 nasce anche la Camera del Lavoro, con elementi repubblicani e anarchici) rappresentano un mondo variegato e interclassista, spesso lacerato da scontri politici e personali che a fasi alterne troverà interlocuzione con esponenti della famiglia Fulci, notabili liberali nel capoluogo e, secondo alcuni storici, anche con alcuni più retrogradi in provincia.
La Camera del Lavoro, fondata dal'avvocato Salvatore Visalli e dal tipografo Tommaso De Francesco, troverà in Francesco Lo Sardo un organizzatore lucido, dottrinariamente formato, coinvolto nella dinamica nazionale del partito. Dal 1906 sino al tragico evento di due anni dopo Lo Sardo punta alla sindacalizzazione delle componenti più importanti del mondo del lavoro messinese, i portuali e gli agrumari, ottenendo buoni risultati, con l'essenziale partecipazione dei ferrovieri negli scioperi di quegli anni per orario di lavoro, ferie, malattie e aumenti salariali. Dal punto di vista politico tiene in piedi i rapporti con Fulci, aprendo nuovamente al fronte popolare, lavorando per l'autonomia del partito.
Di fronte ai tentativi di organizzazione della classe operaia e all'attivismo della componente produttiva, la borghesia imprenditoriale dove confrontarsi con gli effetti della conclusione di un ciclo economico. La perdita dei vantaggi e delle agevolazioni rappresentati del Porto Franco, l'evoluzione delle tecniche di navigazione che avevano determinato il cambio delle rotte all'interno del bacino del Mediterraneo e la nascita di città concorrenti rappresentavano alcuni elementi di cui gli imprenditori operanti a Messina non avevano colto le conseguenze sul lungo periodo e per questo non avevano attivato opportune contromisure.
Nel secolo che si era appena concluso la città peloritana poteva vantare una posizione preminente, il quinto porto del Regno, ma dall'incrocio dei dati sulle esportazioni e la produzione appare evidente che la spinta andava rallentando.
A questo contesto socio-economico devono aggiungersi le tragiche condizioni igienico-sanitarie di intere borgate, di cui fu emblema il Quartiere Avignone dove operò Sant'Annabile di Francia, in cui la facevano da padrone la fame, le malattie e la mancanza di lavoro.
In questo quadro già difficile, i tragici eventi del terremoto rappresenteranno una cesura drammatica. “È stato come se una famiglia, all'improvviso, fosse privata dei genitori -sintetizza Antonio Baglio, docente dell'Università di Messina e dell'Istituto di Studi Storici Gaetano Salvemimi, che ha offerto il contributo scientifico indispensabile alla stesura di questo articolo. La città di Messina ha perso troppe figure significative perché non ne subisse stabili conseguenze”.
Un dato appare preminente. La decapitazione della borghesia imprenditoriale, messinese e straniere, ha marcato in maniera determinante la storia della città. L'attivismo, la capacità di rispondere ai mutamenti del mercato, la propensione al cambiamento e al rinnovamento aveva caratterizza questa classe sociale che, di fatto, aveva guidato e tenuto in piedi la città. Non è dimostrabile, ma è indicazione comune che rispetto ai mutamenti di inizio Novecento, questi imprenditori legati alle banche e alle attività del porto avrebbero saputo o almeno provato ad affrontare le evoluzioni del mercato.
La ricostruzione prenderà una piega molto ministeriale e burocratica. Nel 1911 la struttura amministrativa è praticamente ricostruita, mentre l'economia è ferma e i cittadini non hanno neanche ricevuto una casa. Di fronte a modalità di approccio che condannavano Messina a uno sviluppo fondato sul terziario e sul lavoro statale, le classi dirigenti locali si adeguarono con rapidità. La politica non era strutturata in partiti e tendeva a rappresentare i gruppi di potere locali che con la crisi socio-economica post terremoto videro aumentare in maniera esponenziale la platea dei bisognosi.
Il mondo sindacale e socialista, persi i leader storici Noè e Petrina, viveva il conflitto tra Lo Sardo e il tipografo Giuseppe Toscano che, estromesso dal partito, aveva fondato la Nuova Camera del Lavoro. Sebbene non riconosciuta a livello ufficiale, riusciva a coinvolgere pezzi del mondo del produttivo, in un misto di populismo e affarismo in grado soprattutto di rispondere alle urgenze del sottoproletariato urbano.
Va riscontrato un certo attivismo della componente socialista, guidata da Lo Sardo, che proponeva un'uscita a sinistra dalla crisi del post terremoto: accelerazione dell'organizzazione dell'ente e dell'edilizia popolare per offrire case decorose a operai e braccianti locali e gestione pubblica di luce e gas.
In realtà, il dato che emerge dall'analisi della politica al cospetto delle conseguenze del terremoto ha segnato in maniera emblematica la storia di Messina.
Non si tratta di una fantomatica perdita d'identità, ma della scelta consapevole delle classi dirigenti cittadine di usare la politica in funzione di mediazione dei bisogni dei diversi ceti sociali, creando le premesse per il radicamento di un ampio sistema clientelare. In un'economia fondata sui trasferimenti dal governo centrale, la politica si ritaglia un ruolo piccolo che le impedisce si progettare e guardare al futuro e le consente unicamente di rintuzzare le richieste pressanti di clientes di tutti i ceti sociali.