Terremoto1908. Il ricordo dei discendenti dei sopravvissuti

La famiglia Raffa in una foto della seconda metà dell'Ottocento. Angelo Raffa è il primo in basso sulla destra.
La famiglia Raffa in una foto della seconda metà dell'Ottocento. Angelo Raffa è il primo in basso sulla destra.

MESSINA. L'alba del 28 dicembre 1908 cancellò intere famiglie. Molti dei superstiti preferirono lasciarsi per sempre alle spalle quel carico immenso di dolore e trasferirsi altrove per provare a ricominciare. Ma ci fu anche chi scelse di restare a Messina, a dispetto di tutto. Quelle che raccontiamo in questo articolo, sono tre storie raccontate dai discendenti di alcuni sopravvissuti. Angelo Raffa era conosciuto in città come uno dei nove figli di Giuseppe, detto il re di Portalegni. Suo padre si era guadagnato quel soprannome lavorando sodo come imprenditore edile e investendo in terreni e palazzi nella zona del torrente Rocco Portalegni, l'attuale via Tommaso Cannizzaro. Angelo che nel 1908 aveva ormai 58 anni, lavorava con i fratelli nell'impresa di famiglia. Come la maggior parte dei suoi familiari, anche lui abitava in quella zona e la sera del 27 dicembre era a casa con la moglie Domenica Cappello (sposata in seconde nozze) e con i loro figli Grazia, Concetta e Consolato. Le due figlie maggiori invece non c'erano. Flavia, la più grande, che viveva vicino ai giardini dello chalet Umberto I, dove oggi si trova la Fiera, era andata all'opera con il marito Giuseppe Patti per assistere all'Aida e la sorella sedicenne Giuseppina era a casa da lei per non lasciare i due nipotini soli con i domestici.

Del resto, tutta la famiglia Raffa nutriva una grande passione per il teatro e la musica e oltre ad avere un proprio palco al teatro Vittorio Emanuele finanziava eventi e concerti. Quando le prime scosse sconvolsero la città, Angelo e la sua famiglia riuscirono a salvarsi, ma le due figlie, il genero e i nipotini morirono sotto le macerie. Del palazzo nel quale abitavano non era rimasto più nulla e anche se per molte settimane la famiglia Raffa nutrì la speranza che fossero stati messi in salvo altrove, alla fine si dovettero arrendere: il terremoto li aveva travolti e aveva inghiottito anche i loro poveri resti, che molto probabilmente finirono in fosse comuni.

Dopo alcuni mesi, ad Angelo e alla sua famiglia fu assegnata una baracca in legno nella zona dell'Orto botanico. Ma quando con i suoi fratelli sopravvissuti cercò di rivendicare le proprietà di famiglia non ottenne nulla. Spariti o distrutti i documenti, persero tutto e l'impresa di famiglia, fondata all'inizio dell'Ottocento, chiuse per sempre.

Nel 1908 Rosaria Prestopino era una bambina di quattro anni ma del terremoto che distrusse la sua città ne ha parlato fino all'ultimo giorno, quando nel 2007 è morta a 102 anni. La sua fu una delle poche case della via Palermo a non crollare. A ricordare la sua storia è il pronipote Giuseppe Maugeri Saccà. “Mia zia -ci racconta- non ricordava tutto con precisione. Quello che però le era rimasto impresso nella memoria era l'essere stata svegliata da un rumore cupo e fortissimo e che di colpo la casa si ricoprì di polveri e calcinacci. Una sua sorella era terrorizzata e stava immobile per la paura sotto una trave, mentre il padre cercava di afferrarli tutti per portarli fuori. Pur avendo subito ingenti danni, la casa era rimasta in piedi. Mia zia ci raccontava sempre che alcuni parenti che vivevano a Giarre, non appena seppero del terremoto cercarono di mettersi in contatto con loro con il telegrafo, ma le linee erano tutte saltate.

I giorni successivi li passarono cercando parenti e amici sotto le macerie e se mangiavano lo dovevano ai soldati russi. Dopo un po' si trasferirono a Castanea da un parente e vissero lì per qualche tempo. Poi, il padre della mia prozia, che era un decoratore, decise di tornare a Messina e acquistò una baracca dalle parti della via Palermo, visto che la casa era comunque inagibile.

Mia zia Rosaria ci parlava sempre dei cumuli di macerie, ma la vita aveva ripreso a scorrere: avevano un tetto sulla testa, cibo, acqua e riuscivamo anche ad andare a messa perché in fretta e furia furono allestite anche delle chiese di fortuna, ovviamente nelle baracche. Poi, nel 1917 ripresero ad andare al Duomo, visto che il padre della mia prozia aveva ricevuto l'incarico di restaurare mosaici e decorazioni della cattedrale e in qualche modo la vita andò avanti”.

Quando il terremoto sconvolse la sua vita, Adelaide Carrozza aveva 5 anni. Suo padre Giulio era il marchese di San Leonardo e la bambina viveva con i genitori e i fratelli maggiori Giovanni e Michela in una grande ed elegante casa della Palazzata. Realizzata nel 1622 da Simone Gullì e poi ricostruita dopo il terremoto del 1783 su un progetto dell'abate Giacomo Minutoli, era un susseguirsi di palazzi, tra questi anche il Municipio, che si affacciavano sul mare. Il palazzo dei marchesi Carrozza si trovava vicino alla dimora del principe Stagno d'Alcontres.

Come sempre il Natale era festeggiato in maniera sontuosa e le serate passavano tra ricevimenti e serate musicali. Le scosse del terremoto distrussero il palazzo dei Carrozza e per alcune ore Adelaide rimase sotto le macerie. Riuscì a salvarsi con tutta la famiglia, anche se insieme alla casa i marchesi persero mobili antichi, gioielli, argenteria, collezioni e quadri. Si trasferirono a Roccalumera, dove possedevano un feudo sin dalla fine del '700 e una grande villa che utilizzavano d'estate. La marchesina Adelaide riuscì a tornare nella zona in cui aveva trascorso i suoi primissimi anni di vita (in via Garibaldi vicino alla Prefettura) solo negli anni Venti e lì abitò fino alla fine dei suoi giorni.

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Elisabetta Raffa

Giornalista professionista dal secolo scorso, si divide equamente tra articoli di economia e politica, la cucina vegana, i propri cani, i libri, la musica, il teatro e le serate con gli amici, non necessariamente in quest’ordine. Allergica ai punti e virgola e all’abuso dei due punti, crede fermamente nel congiuntivo e ripete continuamente che gli unici due ausiliari concessi sono essere e avere. La sua frase preferita è: “Se rinasco voglio essere la moglie dell’ispettore Barnaby”.

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