Storia di Luisa e Antonella, che sono tornate a vivere

violenza donne2“Lui è così per causa tua”. Quante volte questo pensiero ha attraversato la mente delle donne, vittime di violenza da parte dei loro uomini. Quante volte è la donna a colpevolizzarsi, a convincersi che è lei a sbagliare e di meritarsi le accuse continue, gli insulti, le botte.

“Lui mi diceva che ero buona a niente, che non valevo niente. Tutte le volte che lui si arrabbiava con me perché era geloso e possessivo, non facevo altro che chiedermi cosa avevo fatto, in che cosa avevo sbagliato -ricorda Luisa (nome di fantasia, ndr), quando le chiediamo di raccontare la sua storia.

E' tramite il Cedav, il Centro Donne Antiviolenza di Messina del quale è presidente Carmen Currò, che riusciamo ad incontrare due donne che hanno deciso di rompere il silenzio per raccontare come sono uscite dalla spirale della violenza che le ha tenute legate per anni.

Luisa è giovane e bella, ma non vuole esporre tutti i particolari del sua storia, come se fossero i segreti inconfessabili di un dolore non ancora sepolto. Una sofferenza, un mostro che non si può disturbare perché se risvegliato, forse prenderebbe di nuovo potere nella sua vita.

“La cosa è ancora fresca -dice, ma poi riesce ad aprirsi. Ho deciso di parlare perché penso che tante altre ragazze possono essere nella mia situazione. A loro vorrei consigliare di prendere la vita nelle proprie mani perché si può uscirne.

Sono stata anni sperando che lui potesse cambiare, ogni volta tornavo con lui perché pensavo che con il tempo sarebbe cresciuto. E invece era sempre la stessa storia, dopo i primi tempi tornava ad accusarmi, geloso com'era. Non potevo avere un lavoro, prendere la né avere amici. Mi faceva dei bei regali, ma poi erano bastonate perché per lui io non li apprezzavo abbastanza. E le violenze sono state continue, tanto che quando aspettavo la mia bambina ho rischiato di perderla per le botte. Mi diceva che mi avrebbe ammazzata e io avevo paura”.

A Luisa inizialmente non mancava il sostegno della propria famiglia. “Ogni volta, costruivo e distruggevo. Tornavo dai miei genitori che mi hanno sempre aiutata. Mi trovavo un lavoro, mi sentivo meglio, ma poi tornavo da lui. Mi consigliavano di lasciarlo una volta per tutte, ma io non li ascoltavo. Una volta, il mio compagno ha rotto la testa di mio padre che ha avuto bisogno dei punti di sutura, ma l'ho convinto a non denunciarlo”.

Spiega come si è decisa a reagire e quando lo racconta le si rompe la voce. “Solo quando ho capito che stavo realmente rischiando la mia vita, è scattato qualcosa. L'ultima volta che l'ho visto, mi ha rotto un braccio. La prognosi dei medici era di 43 giorni e dopo i 41 giorni scatta la denuncia di ufficio. I medici sapevano, mi avevano vista decine di volte recarmi a cercare cure dopo le botte. Non potrò mai scordare lo sguardo di mia figlia, testimone innocente di anni di violenze. Negli anni, speravo che lui si trasformasse nel padre che io volevo per lei, ma non è mai stato così. Oggi mia figlia ricorda ancora le scene a cui ha assistito e non vuole neanche incontrare suo padre”.

Chiediamo a Luisa chi sono le persone che le sono state vicine in questi anni e senza le quali non ce l'avrebbe mai fatte. Fra queste cita il padre e Simona D'Angelo, una delle volontarie del Cedav, che non le ha fatto mai mancare il proprio sostegno e l'aiuto per uscire da questo inferno casalingo.

“Se guardo me stessa negli anni passati, mi vedo scalare una montagna, salire e scendere in continuazione. E vedo Simona sulla cima di questo monte, che mi aiuta a salire. Adesso, a due anni di distanza dalla rottura definitiva con quest'uomo, mi vedo piena di speranza e fiducia. Lavoro, riesco a mantenere mia figlia e mi sento realizzata. Una donna può sempre fare di più di un uomo. Io potevo fare di più di lui e questo lo sapeva, vedeva in me ciò che io potevo realizzare. Non rimpiango niente perché l'ho amato con tutta me stessa, ma mentre volevo tirar fuori il meglio, lui peggiorava di giorno in giorno. Un consiglio che vorrei dare alle donne nella mia stessa situazione, è di chiudere subito ogni rapporto, alla prima situazione pericolosa. Io ho perso troppe tappe della mia vita”.

Lo stesso consiglio viene da Antonella, un'altra delle donne che incontriamo al Cedav. Anche lei ha ricevuto l'aiuto delle volontarie per uscire da una vita di violenze e soprusi subiti dal marito. Antonella (anche questo è un nome fittizio) ha 59 anni e per 32 ha condiviso lo stesso tetto con l'uomo che le ha rovinato gran parte della sua vita.

“Se penso a lui, mi viene solo rabbia. Io non lo amavo, anzi c'erano momenti che lo odiavo davvero. Però mi convincevo che con il tempo potesse cambiare. Siamo giovani, pensavo, prima o poi cambierà. Mi trattava come un oggetto di sua proprietà, non potevo fare niente senza che lo volesse lui.

Non potevo andare a trovare mia sorella perché sosteneva che avessi rapporti con mio cognato. Un giorno ha chiamato il dentista a casa chiedendo di me perché io mi occupavo della salute dei nostri figli e lui ha pensato che ci fosse qualcosa sotto.

Addirittura, quando mia figlia, già grande e con una bambina, veniva a casa nostra con suo marito, lui arrivava a dire che la notte io mi vedevo con lui e che mio genero si alzava e apriva e chiudeva il frigo per farmi segnale e vederci. Farneticava, diceva cose assurde e per ogni situazione erano mani alla gola, calci, pugni”.

Come se tutto questo non fosse un motivo plausibile per allontanarsi da un uomo, il marito di Antonella inizia a fare un uso sistematico di internet e delle chat. “Per me era quasi un sollievo, perché così aveva qualcosa da fare e si distraeva. Invece, un giorno l'ho colto in flagrante e quando meno se lo aspettava, l'ho trovato con la cerniera abbassata davanti al pc. Aveva una donna, con la quale chattava tutti i giorni e che successivamente alla mia rottura con lui, è venuta a stare a casa nostra”.

Quando Antonella accusa il marito di tradimento lui non può far altro che sciorinare i peggiori insulti su di lei e colpirla dappertutto. “Ho dovuto chiamare mia figlia perché avevo un dolore fortissimo alle costole. Lei è venuta, ma mio marito mi aveva buttato fuori di casa, quando è arrivata io ero già per strada. Quando sono andata a denunciarlo, mi hanno consigliato di pensarci bene prima di farlo, perché avrebbero dovuto arrestarlo immediatamente”.

Inspiegabilmente, chi la ascolta la convince a non sporgere denuncia nei confronti del marito. Che oltre ad averla cacciata di casa, l'ha pestata fino a riempirla di lividi e a causarle una lussazione delle costole, così come avranno modo di verificare i medici il giorno dopo, quando Antonella decide di recarsi in ospedale. Da quel giorno, non è mai più tornata con il marito, con cui è tutt'ora è in corso la procedura di separazione. Lui ha avuto l'ordine di allontanamento per cui non può avvicinarsi a lei, a uno dei figli che vive ancora sotto la tutela della madre né alla casa in cui i due vivono.

“La prima volta in cui l'ho visto dopo quella sera, non ho provato niente. Mi sembrava di non averlo mai conosciuto. Tutta la rabbia e la delusione che ho dentro l'hanno trasformato in un estraneo. Oggi posso solo consigliare alle donne che vivono un'esperienza come la mia, di reagire ed uscire subito da questa vita. Per me non è stata una liberazione, mi sento arrabbiata e sconfitta perché quest'uomo ha rovinato la mia vita. Mi consolo pensando ai miei figli e mi godo i miei cinque nipoti”.

Carmen Currò, presidente Cedav Messina

Anche per lei il Cedav ha avuto un ruolo fondamentale.”Per me sono come una famiglia, mi hanno aiutato in tutti i momenti della mia battaglia contro di lui. Sono convinta che dovrebbero aiutare questo centro. Chi ha bisogno, come è successo a me, a chi deve rivolgersi se non a loro?”.

Le storie di Luisa e Antonella sono due delle migliaia di storie che tutti i giorni si consumano tra i muri delle case, dove un uomo vive il proprio rapporto con la moglie o la compagna come possessività e aggressività.

“La violenza sulle donne oggi è il sintomo di un retaggio culturale che non ha più validità. Molto spesso si tratta di uomini che non hanno imparato a gestire i propri istinti aggressivi e risentono di uno stile educativo maschilista e non più adeguato ai nostri tempi -spiega Teresa Staropoli, operatrice del Cedav”.

La voce di queste due donne che hanno rotto il silenzio e raccontato la loro esperienza si unisce a quella di tutte le altre che quotidianamente combattono le discriminazioni di genere e la violenza domestica. Uscire dall'incubo delle violenze non è una possibilità, ma un obbligo nei confronti di se stesse e della propria dignità di donne.

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Francesca Duca

Ventinovenne, aspirante giornalista, docente, speaker radiofonica. Dopo una breve parentesi a Chicago, torna a preferire le acque blu dello Stretto a quelle del lago Michigan. In redazione si è aggiudicata il titolo di "Nostra signora degli ultimi" per interviste e approfondimenti su tematiche sociali che riguardano anziani, immigrati, diritti civili e dell'infanzia.Ultimamente si è cimentata in analisi politiche sulle vicende che animano i corridoi di Palazzo Zanca.

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