Messina ed il mercato nero nel dopoguerra
Dopo l'8 settembre il Meridione d'Italia appare fisicamente liberato dalle truppe tedesche, ma di fatto occupato da quelle alleate. Il Paese risulta drammaticamente spaccato in due.
Il nord Italia, infatti, vive la sanguinosa battaglia tra vecchi e nuovi alleati, che si contendono centimetro per centimetro un Paese dilaniato, vittima di vergognosi scempi. Il Sud Italia, invece, seppur libero dai combattimenti, vive stenti e privazioni dovuti alle naturali conseguenze di una guerra, aggravati dalla complessità di gestire i rifornimenti in ingresso sbarrati dal conflitto ancora in corso.
In Sicilia la popolazione si nutre per lo più di frutta e legumi: arance, mandarini, nocciole sono venduti a prezzi irrisori, non riuscendo queste merci ad accedere ai mercati nazionali per il blocco delle esportazioni. Vivi nelle mente di molti sopravvissuti sono quel pane e quella pasta confezionati con farina di fave o di miglio dal sapore poco gradevole o il miele ricavato dalle carrubbe che sostituisce lo zucchero.
A Messina, molte famiglie sfollate nei villaggi limitrofi e nelle zone montuose dell'entroterra per sfuggire ai bombardamenti, alla fine del conflitto ricominciano a tornare in città, nelle proprie abitazioni abbandonate, aggravando una situazione alimentare già da tempo emergenziale.
Il mercato nero diventa l'unica risposta possibile di una popolazione stremata al disperato bisogno di alimenti e piccoli lussi, come una sigaretta.
Cosa si vende al mercato nero? Farina bianca, pane, carne, sigarette contraffatte, abiti, scarpe. A dispetto di quello che si crede, però, non è facile saper fare affari in questa piazza clandestina: una predisposizione alla contrattazione, alla trattativa fraudolenta e spesso speculativa, non è infatti dote di tutti. E non tutti possono comprare. Nuovi ricchi, o militari da “ripulire” sono gli acquirenti principali di furbi contrabbandieri, mentre la maggior parte della popolazione non possiede denaro per acquistare alcun prodotto. I pochi beni di famiglia sono venduti: bracciali, anelli, orologi e spille, finiscono in mano di avidi speculatori e commercianti senza scrupoli. Finanche la lana dei materassi è venduta ed acquistata da straccivendoli in cambio di poche lire da usare alla borsa nera.
Il sindaco messinese Lauricella cerca di riportare, per quanto possibile, la situazione alla normalità. Istituisce cucine economiche presso le parrocchie per aiutare gli indigenti, mentre la Galleria Santa Marta, occupata durante la guerra da sfollati che promiscuamente occupavano un spazio ridottissimo, viene sgomberata, disinfestata (piattole e pidocchi, a causa della poca igiene, erano problema comune) e riaperta al traffico. Tuttavia il problema della pulizia rimane insoluto. Il sapone, i dentifrici, le saponette erano spariti dalla circolazione perché provenienti dal nord Italia occupato. Gli abiti sono lavati con la cenere o la pomice, i denti con il bicarbonato strofinato con un pezzetto di carta.
Il più stridente paradosso, però, giaceva in agguato proprio dietro l'angolo. Mentre la popolazione tribolava e spasimava per la sua razione giornaliera di pane, gli Alleati vivevano in città nel lusso più sfrenato, occupando le ville più belle, riunendosi nei club e nei ritrovi esclusivi, organizzando feste e serate danzanti con lauti banchetti e cibo a volontà, anche di gran lusso: caviale, champagne, pesce e vino delle migliori annate circolavano sulle tavole “in”. Invece alla popolazione il latte, le patate e l'olio erano distribuiti soltanto saltuariamente.