Messina e lo sviluppo: sul ponte sventola bandiera bianca?

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Una delle tante proteste dei lavoratori ex Triscele

Mentre Nibali difende la maglia gialla al Tour de France, la sua città natale, Messina, conquista ancora una volta la maglia nera tra le Province italiane.

Il Sole 24Ore ha di recente pubblicato i risultati di un'indagine che misura l'impatto della crisi sui territori. E' stata stilata una speciale classifica che deve essere letta alla rovescia: più alta è la posizione occupata dalla Provincia, peggiore è stato l'impatto della congiuntura economica negativa.

Messina si colloca all'ottavo posto ed è uno dei territori italiani che ha sofferto di più per la crisi economica. Come vediamo, Messina è superata solo da Viterbo, Latina, Novara, Cosenza, Nuoro, Cagliari e Terni. Al decimo posto troviamo Reggio Calabria.

Le classifiche del Sole24Ore non sono il Vangelo: individuano delle tendenze, utili soprattutto per comprendere l'evoluzione di certi fenomeni. In questo caso, però, i dati parlano chiaro: Messina è messa piuttosto male. Negli ultimi anni, il PIL (il Prodotto Interno Lordo) è diminuito, la disoccupazione è aumentata e, conseguentemente, si è ridotta la spesa per l'acquisto di beni percepiti come non immediatamente necessari quali le auto, i mobili e gli elettrodomestici.

Diminuisce anche la percentuale dei laureati tra i giovani, segno che a torto o ragione i messinesi ritengono che il famoso pezzo di carta non rappresenti più una garanzia per trovare lavoro e quindi sono meno disposti a investire in istruzione.

Negli ultimi anni il valore medio delle case in vendita è sceso, così come la quantità di prodotta pro capite. Variabile questa, che rileva indirettamente i consumi di alcune tipologie di beni. Aumenta, anche se di poco,  l'acquisto di farmaci.

La città dello Stretto, infine, presenta un indicatore positivo: l'incremento dei depositi bancari, che evidenzia una crescita della propensione al risparmio, fenomeno comune ad altre province italiane, ma che rimane ancora una volta uno dei punti di forza dei messinesi.

Se escludiamo quindi la propensione al risparmio, la maggior parte degli indicatori mostrano un trend negativo. In particolare, preoccupano la caduta libera del PIL e l'aumento del tasso di disoccupazione.

Il Prodotto Interno Lordo non è tutto. Da tempo gli economisti meno ortodossi, come il premio Nobel Amartya Sen, sostengono la necessità di valutare i sistemi economici tenendo conto anche di altri fattori e non solo del reddito. Si parla, ad esempio, di FIL (Felicità Interna Lorda), indicatore che dovrebbe misurare il livello di felicità delle nazioni oppure dell'Indice di sviluppo umano (elaborato dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo – UNDP).

Tuttavia, dobbiamo ammettere che è difficile per un Paese occidentale (che non può permettersi lo stile di vita del Bhutan, il famoso Stato a ridosso del Tibet che basa le proprie politiche di sviluppo sulla misurazione dell'indice FIL) fare a meno di un sistema produttivo dinamico. Questo vale anche per i territori di un Paese come l'Italia e, quindi, per la provincia di Messina.

E' pur vero che la città dello Stretto non è un caso isolato, ma segue un trend che a macchia di leopardo coinvolge l'intero Paese. Infatti, secondo i dati della stessa indagine del Sole 24Ore, le regioni che hanno risentito di più della crisi sono il Piemonte, l'Emilia Romagna, le Marche, il Lazio.

Quindi, anche nel Centro – Nord le province che non sono state in grado di reagire efficacemente alla crisi hanno pagato caro il prezzo della recessione. Al contrario, i territori che hanno voluto e saputo affrontare la congiuntura economica sfavorevole, in maniera pro-attiva, sono riusciti quanto meno a limitare i danni.

Non a caso, la classifica del quotidiano della Confindustria colloca in fondo alla classifica (ovvero ai primi posti per capacità di resistere alla crisi) quelle province del Nord come Vicenza, Verona, Milano, Modena e Mantova che negli ultimi anni hanno investito risorse e idee per ristrutturare e internazionalizzare il sistema produttivo, riguadagnando competitività.

Messina ha risentito sicuramente di una più generale congiuntura economica negativa ed è stata svantaggiata dai tanti (vecchi) problemi irrisolti. E non possiamo dimenticare il peso della criminalità organizzata, che incide negativamente sulla crescita economica delle regioni del Sud, come è stato confermato da studi recenti condotti dalla Banca d'Italia.

La città dello Stretto, però, ha anche pagato la scarsa dinamicità del proprio sistema produttivo. La fine ingloriosa del FC Messina o, più recentemente, le tribolate vicende dei Cantieri Rodriquez e della ex Triscele, testimoniano che la nostra città è molto brava a distruggere le cose buone che riesce a creare.

La scarsa competitività dell'economia messinese è anche la conseguenza di decenni di politiche assistenzialiste, che hanno favorito la diffusione della cultura del posto pubblico, del menefreghismo, della rendita, del “mi manda Picone”. Questi atteggiamenti, forse, potevano avere un senso in passato, quando la spesa pubblica era un pozzo senza fondo da utilizzare come strumento di consenso politico. Diventano  invece una pulsione al suicidio economico nell'epoca della competizione globale e della spending review.

Questo insieme di atteggiamenti rappresenta, forse, il più forte ostacolo per lo sviluppo economico di una città che nonostante i tanti problemi ha un grande potenziale di crescita. Sul ponte sventola bandiera bianca, come recita una popolare canzone di Franco Battiato? Forse no, ma per risalire la china è necessario un cambiamento di mentalità e uno scatto di orgoglio da parte di tutti, cittadini e classe dirigente.

Fabrizio Maimone

Messinese ca scoccia e romano di adozione. Ricercatore (molto) precario, collabora a progetti di ricerca su temi al confine tra sociologia, management e organizzazione, in Italia e all’estero. Insegna organizzazione aziendale all’università ed è docente di management e comunicazione. È formatore e consulente di direzione per le migliori e le peggiori aziende, italiane e multinazionali. La sua passione per la comunicazione (non solo) digitale è seconda solo a quella per la tavola, le buone letture e i viaggi.

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