Il ricorso presentato al TAR di Catania

On.le Tribunale Amministrativo regionale per la Sicilia

Sezione staccata di Catania

Secondi motivi aggiunti

Nell'interesse dei Sigg.ri Ing. Silvio Tommasini  (C.F.: TMM SLV 60B10 F158D), Arch. Antonina Colonna (C.F. CLN NNN 65L 45 F158W), Ing. Alfredo Schipani (C.F.: SCH LRD 59E22 F158Q), Arch. Michelangelo Alicata (C.F.: LCT MHL 62T26 F158H), Sig. Ponzio Carlo (C.F.: PNZ CRL 81C22 F158R), Sig.ra Toscano Giovanna (C.F.: TSC GNN 18M14 F158F), Sig.ra Giuseppa Micali (C.F. MCL GPP 55B44 Z700S), Sig. Ernesto Paolo Crimi (C.F: CRM RST 61S07 C051L), Sig. La Versa Gaetano (LVG GTN 46M16 F158G), rappresentati e difesi per mandato speciale a margine del ricorso e del presente atto dai Proff. Avv.ti Nazareno Saitta e Antonio Saitta,

nel ricorso R.G. n. 1199/08 contro

Comune di Messina, in persona del Sindaco pro-tempore

Regione siciliana, in persona del Presidente pro-tempore;

Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Messina, in persona del Soprintendente pro-tempore;

Ufficio del Genio civile di Messina, in persona dell'Ingegnere Capo pro-tempore;

Assessorato regionale ai lavori pubblici, in persona dell'Assessore pro-tempore;

Assessorato regionale al Territorio e Ambiente, in persona dell'Assessore pro tempore;

Assessorato regionale ai Beni Culturali, Ambientali E Pubblica Istruzione, in persona dell'Assessore pro-tempore;

e nei confronti di: Società di Trasformazione Urbana “Il Tirone S.p.A.” in persona del legale rappresentante pro-tempore,

Garboli – Conicos S.P.A. Impresa generale costruzioni, in persona del legale rappresentante pro-tempore,

Studio FC & RR Associati S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

De.Mo.Ter. – Demolizioni Movimenti Terra S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

Demoter – Demolizioni Movimenti Terra S.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

Ing. Arcovito Paolo Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

Ciaquattropareti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

Trio S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore,

Ingegneria e Finanza, S.r.L. in persona del legale rappresentante pro-tempore,

per l'annullamento del Decreto Presidenziale Regione Siciliana 9 luglio 2009, in G.U.R.S. 24 luglio 2009, n. 63, avente ad oggetto “approvazione dell'accordo di programma con il Comune di Messina relativo allo studio di fattibilità della Società di trasformazione Urbana (STU) Il Tirone S.p.A.”;   in parte qua, del parere 4 dicembre 2008 del R.U.P. in merito alle osservazioni proposte anche dai ricorrenti; della proposta di parere 2 marzo 2009, n. 23 emessa dal Servizio 4 – unità operativa 4.1 – del Dipartimento Regionale dell'Urbanistica (D.R.U.); del voto 1 aprile 2009, n. 145 con il quale il C.R.U., in adesione alla proposta del D.R.U., ha espresso parere favorevole sotto il profilo urbanistico agli interventi inseriti nell'accordo di programma 21 ottobre 2008, che comportano varianti allo strumento urbanistico generale vigente nel Comune di Messina; della nota 26 maggio 2009, prot. n. 39788, con la quale l'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente – D.R.U., ha trasmesso alla Presidenza della Regione, condividendolo, il voto n. 145/09 del C.R.U., nonché di ogni altro atto presupposto, conseguente e comunque connesso.

P r e m e s s e:

            Il 22 marzo 2008, sul quotidiano “La Gazzetta del Sud”, compariva un avviso pubblico, curato dal Municipio di Messina, Dipartimento Pianificazione urbanistica. Polo Catastale – SIT, avente ad oggetto « Accordo di programma quadro ai sensi della circolare presidenziale 2 settembre 1999, n. 1/V per l'approvazione dello studio di fattibilità della Società di trasformazione Urbana “Il Tirone” Spa ». Dalla lettura di detto avviso, contenente l'invito agli interessati a formulare osservazioni (« trattandosi di interventi non previsti dal piano urbanistico generale, ai sensi dell'art. 11, comma 1, lett. b) del D.P.R. n. 327/2001, è necessario procedere alla comunicazione di avvio del procedimento ai relativi proprietari, almeno venti giorni prima dell'emanazione dell'Accordo di programma »), i ricorrenti apprendevano dell'esistenza dei provvedimenti, indicati nell'epigrafe del ricorso principale, preordinati all'esproprio di edifici di loro proprietà (“intervento n. 4 Riqualificazione urbana tessuto Borgo storico e Scalinata S. Barbara”). Con il ricorso introduttivo, i deducenti impugnavano innanzi a codesto On.le Tribunale tutti gli atti del procedimento sino ad allora conosciuti.

            Contestualmente, come invitati dall'avviso pubblico impugnato con il ricorso introduttivo, alcuni tra loro (Schipani e Tommasini – foglio 224, part. 66 -; La Versa, Crimi, Schipani e Colonna – foglio 224, part. 84 -; Alicata e Schipani – foglio 224, part. 69 -) presentavano rituali osservazioni chiedendo che fosse “modificato l'elenco delle aree sulle quali apporre vincolo preordinato all'esproprio escludendo” le aree in parentesi catastalmente indicate e le loro antistanti pertinenze. Nessuna osservazione presentavano le Sig.re Toscano, Micali e Ponzio ed i Sigg.ri Ponzio e Hoxha.

Per tutte le osservazioni formulate dai ricorrenti, il R.U.P., in data 4 dicembre 2008,  ed i progettisti della S.T.U. esprimevano parere favorevole all'accoglimento. Le osservazione venivano effettivamente accolte con  il provvedimento oggi impugnato.

Tuttavia l'interesse al ricorso dei deducenti permane in quanto, limitatamente alle aree di proprietà Colonna, Schipani, La Versa e Crimi (– foglio 224, part. 84 –) e Tommasini – Schipani ( – foglio 224, part. 66 -), pur innanzi al favorevole parere del R.U.P., i cortili antistanti gli edifici permangono inspiegabilmente all'interno della perimetrazione esproprianda. Parimenti espropriandi restano le unità immobiliari di proprietà Tommasini e Schipani (part. foglio 224, part. 59, subb. 12 e 13), quelle di proprietà Ponzio (part. foglio 224, part. 59, subb. 7 e 8), Micali (part. foglio 224, part. 59, sub. 11), Toscano (part. foglio 224, part. 59, sub. 6).

            Frattanto, qualche giorno prima del parere espresso dal R.U.P. sulle osservazioni presentate dai ricorrenti, il Consiglio comunale di Messina, con deliberazione 21 novembre 2008, n. 57/C,  ratificava l'accordo di programma del 21/10/2008 tra la Regione Siciliana ed il Comune di Messina. Pertanto, con motivi aggiunti 6 dicembre 2008 i ricorrenti impugnavano anche tale provvedimento.

Il procedimento proseguiva con l'approvazione degli atti in epigrafe del presente atto che, al pari dei precedenti, sono assolutamente illegittimi e meritano di essere annullati per i seguenti

M o t i v i:

XVIIIViolazione e falsa applicazione art. 120, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento; Violazione della Circolare, Min. dei Lavori Pubblici 11/12/2000 n. 622. – Violazione e falsa applicazione artt.11 e 19, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e dell'art. 120, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

            1. Come già chiarito con il ricorso principale (motivo I), il Comune, ancor prima di avviare la costituzione della Società di Trasformazione Urbana e, sicuramente, di approvare il Piano industriale e tutti gli altri atti impugnati con il ricorso principale ed i successivi motivi aggiunti, avrebbe dovuto dotare l'area di ricadenza dell'intervento di un'adeguata pianificazione urbanistica. Illegittimamente, invece, è stata attivata la S.T.U. in base (ed in modo incompatibile) alla vigente disciplina urbanistica.

Prova inconfutabile ne è che, ora, con i provvedimenti impugnati in epigrafe, si sono determinate “le variazioni allo strumento urbanistico generale vigente nel Comune di Messina ai sensi dell'art. 27 della Legge n. 142/90, per gli interventi sia pubblici che privati, previsti nell'accordo sottoscritto” (cfr. art. 2 D.P. 9/7/2009).

Tali opere stravolgono radicalmente l'assetto urbanistico ed edilizio dello storico quartiere, con la creazione di un vero e proprio agglomerato direzionale-residenziale, previa demolizione di numerosi immobili ricadenti in Z.t.o. “A”, e perciò oggetto di , cancellando totalmente l'impianto urbanistico e viario storico. Tutto ciò, peraltro, utilizzando parametri edilizi inediti per il P.R.G. di Messina, del tutto fuori scala (si arriva a costruire un edificio a dodici elevazioni fuori terra, mentre il P.R.G. non consente in nessun caso di superare i sei piani fuori terra) e disomogenei rispetto alle caratteristiche architettoniche e dimensionali del contesto urbano messinese.

Secondo il (pre)vigente P.R.G. di Messina, infatti, nell'area del Tirone « E' prescritta la formazione di Piano Particolareggiato esteso all'intera zona; nelle more, sono consentiti interventi di manutenzione straordinaria, restauro conservativo e ristrutturazione previo consolidamento statico dell'immobile » (così l'art. 34. N.T.A. P.R.G. di Messina). Nelle more della formazione del Piano particolareggiato, gli interventi di nuova edificazione erano consentiti soltanto nel rispetto di limiti assai stringenti, platealmente violati nel caso di quelli programmati e oggi approvati dalla S.T.U. “Il Tirone[1]. Analoghi discorsi si possono fare le zz.tt.oo. “A1” e “A2” come può evincersi dalla lettura degli artt. 30 e ss. delle N.T.A. Tutti gli interventi analiticamente indicati con il primo motivo di ricorso principale (pagg. 11 e ss.), da intendersi qui integralmente trascritti, sono, dunque, in contrasto con il (pre)vigente strumento urbanistico tanto da essersi rese necessarie le varianti oggi impugnate.

In ragione del fatto che ai sensi dell'art. 120, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, l'individuazione degli immobili equivale a dichiarazione di pubblica utilità, anche per quelli non interessati da opere pubbliche e che “il comune, antecedentemente alla costituzione della S.T.U. ed esperite le verifiche economiche di massima di cui al punto 3.1, deve procedere alla approvazione della variante al piano regolatore generale (circolare n. 622/Segr. del 2000), è evidente che le varianti oggi gravate sono illegittime perché la S.T.U. è ormai fondata e alla stessa era già stata assegnata l'area da espropriare.

Anche la circolare del Presidente della Regione siciliana 2 settembre 1999, n. 1/V (in G.U.R.S. 10 settembre 1999, n. 43) conferma l'illegittimità dell'operato del Comune di Messina che non ha previamente adottato (e la Regione approvato) la necessaria variante urbanistica. Con la circolare in parola sono stati forniti chiarimenti in ordine all'iter procedurale per l'approvazione di Accordi di programma e per le Conferenze dei servizi inerenti gli strumenti di programmazione negoziata (la circolare in parola è espressamente richiamata tra i “visto” di cui al D.P. impugnato). Ebbene, la circolare afferma che « prima dell'istanza, nel caso in cui l'accordo prevede variazioni agli strumenti urbanistici, occorre che l'amministrazione abbia già redatto la variante e che la stessa sia stata trasmessa al consiglio comunale per la relativa adozione ».

Non v'è dubbio, pertanto, che  «è illegittima la deliberazione di assegnazione di un'area alla s.t.u. e di contestuale avviamento della procedura di espropriazione senza la previa approvazione di un progetto urbanistico sostitutivo del Piano di lottizzazione previamente approvato, in quanto, il presupposto per la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera può aversi solo se e quando la delimitazione dell'area dell'intervento riguardi area già soggetta a vincolo preordinato all'esproprio e coincida con l'approvazione di uno strumento urbanistico al quale le norme (art. 12, t.u. n. 327 del 2001) attribuiscano tale efficacia » (T.A.R. Veneto Venezia, sez. I, 9 dicembre 2004, n. 4280).

2. Sviluppando i superiori assunti si potrà comprendere la “strana” (melius, illegittima) circostanza di essere innanzi ad un procedimento ablatorio con (almeno) due dichiarazioni di pubblica utilità degli interventi; la prima, come detto, giusto il disposto di cui all'art. 120 T.U.EE.LL. legata all'individuazione degli immobili interessati effettuata con delibera del Consiglio comunale 30 ottobre 2001, n. 73/C  avente ad oggetto “Costituzione di una Società di trasformazione Urbana a prevalente capitale privato ex art. 120 del D.lgs. 18 agosto 2000. n. 267 »; la seconda, oggi impugnata, giusto Decreto Presidenziale di approvazione dell'accordo di programma e delle varianti al P.R.G.

Solo ove tali varianti fossero state adottate anteriormente alla costituzione della S.T.U. le norme di cui sopra avrebbero potuto trovare applicazione. Diversamente, come oggi è avvenuto, non si può dar luogo ad una procedura coerente. Da un lato, infatti, l'art. 120, D.Lgs. n. 267/2000, conferisce, senza eccezioni di sorta, efficacia di p.u. alla semplice delibera di individuazione degli immobili (che, nel nostro caso, è stata il primo atto della sequela procedimentale impugnata: Delib. 30 ottobre 2001, n. 73/C); dall'altro, il Comune ha attivato solo successivamente la conferenza dei servizi del 16/10/2006 il procedimento di variante urbanistica necessario per far sorgere il vincolo preordinato all'esproprio, così “confessando” che all'atto della dichiarazione di p.u. (delib. 30/10/2001, n. 73/C) l'intervento era difforme allo strumento urbanistico vigente e, quindi, non poteva sorgere legittimamente nessun vincolo preordinato all'esproprio che, invece, è imposto ope legis (e anche contra legem) (art. 120, D.Lgs. n. 267/2000).

Il C.R.U., d'altronde, con il voto n. 145 del 1 aprile 2009, parte costituente del D.P. 9 luglio 2009 qui impugnato, afferma che tutti gli interventi in progetto sono assentibili per effetto dell'approvazione della variante urbanistica che ne costituisce oggetto. L'argomento è inconsistente e, anzi, conferma l'illegittimità dell'intero procedimento. Come le norme sopra richiamate dispongono, la progettazione deve seguire e non precedere la (eventuale) variante urbanistica: prima si sarebbe dovuta determinare la destinazione urbanistica dei suoli e, solo successivamente, si sarebbe dovuto progettare in conformità.

Nel caso che ci occupa, invece, in modo del tutto illegittimo, si sono progettati gli interventi all'interno della S.T.U. senza tener conto di nessun parametro urbanistico e, quindi, si è approvata una variante in conformità ai progetti.

In sintesi: non un progetto conforme ad un piano, ma un piano conforme ad un progetto!

Evidente, dunque, l'illegittimità del procedimento seguìto e dei provvedimenti impugnati.

XIX – Violazione e falsa applicazione dell'art. 59 della L.R. 14 maggio 2009, n. 6, della Deliberazione di G.R. 10 giugno 2009, n. 200 e del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152. Eccesso di potere sotto il profilo della mancanza dei presupposti e dell'istruttoria.

I provvedimenti impugnati sono illegittimi in quanto adottati senza la preventiva Valutazione Ambientale Strategica (VAS).

Com'è noto, infatti, con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 152/2006, sono stati introdotte nuove norme aventi come obiettivo primario la promozione dei livelli di qualità della vita umana, da realizzare attraverso la salvaguardia ed il miglioramento delle condizioni dell'ambiente e l'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturale”. Tali fini vengono realizzati, tra l'altro, a mezzo del “procedimento di valutazione ambientale strategica – VAS”, attraverso “l'elaborazione di un rapporto concernente l'impatto sull'ambiente conseguente all'attuazione di un determinato piano o programma da adottarsi o approvarsi, lo svolgimento di consultazioni, la valutazione del rapporto ambientale e dei risultati delle consultazioni nell'iterdecisionale di approvazione di un piano o programma e la messa a disposizione delle informazioni sulla decisione” (cfr. art. 5).

Più, in particolare, in ottemperanza alle previsioni di cui al D.Lgs. n. 152/2006, l'art. 59, L.r. 14 maggio 2009, n. 6 (“Disposizioni in materia di valutazione ambientale strategica”) ha disposto che “fino all'emanazione della normativa regionale in materia di valutazione ambientale strategica (VAS), la Giunta regionale con propria deliberazione definisce il modello metodologico procedurale della valutazione di piani e programmi ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (…).  Non sono assoggettati all'applicazione delle disposizioni in materia di valutazione ambientale strategica contenute nel decreto legislativo di cui al comma 1 i piani e i programmi e le loro varianti, individuati nell'articolo 6, commi 2, 3 e 3bis del decreto legislativo medesimo, che:

a)  siano stati adottati prima del 31 luglio 2007;

b)  siano stati adottati dopo il 31 luglio 2007 ed entro il 12 febbraio 2008 e sui quali siano state rese, alla data di entrata in vigore della presente legge, le determinazioni propedeutiche all'approvazione da parte della Regione a norma della vigente legislazione in materia.
4.  Relativamente ai piani regolatori generali e alle loro revisioni o varianti generali adottati dopo il 31 luglio 2007 ed entro il 12 febbraio 2008, nonché alle varianti agli strumenti urbanistici comunali, sovracomunali e di settore adottate nel suddetto periodo e sui quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, non siano ancora state rese le determinazioni da parte dell'Assessorato regionale del territorio e dell'ambiente a norma della vigente legislazione in materia, lo stesso Assessorato effettua la verifica di assoggettabilità di cui all'articolo 12 del decreto legislativo n. 152/2006, sulla base delle modalità individuate con la deliberazione di cui al medesimo comma 1”
.

In ragione del fatto che la variante al P.R.G. di Messina è stata adottata con la deliberazione del Consiglio comunale 21 novembre 2008, n. 57/c ed approvata solo con il D.P. 9 luglio 2009 oggi impugnato, è evidente che, in ottemperanza alle superiori disposizioni, avrebbe dovuto essere sottoposta alla Valutazione Ambientale Strategica con il modello metodologico procedurale di cui alla deliberazione di G.R. 10 giugno 2009, n. 200.

Dello stesso avviso, per la verità, è la stessa D.R.U. dell'A.R.T.A. che, con nota 26 maggio 2009, prot. n. 39788, ha evidenziato “che in relazione dell'entrata in vigore della L.r. 14/05/2009, n. 6, restano salvi gli, eventuali, adempimenti discendenti dall'applicazione dell'art. 59 della medesima norma, nonché l'acquisizione di ogni altro parere ed autorizzazione occorrente all'inizio dei lavori”.

XX – Violazione e falsa applicazione dell'art. 55 della L.R. n. 71/78 e della L.r. n. 70/76. Eccesso di potere sotto il profilo della mancanza dei presupposti e dell'istruttoria.

Com'è noto, ai sensi dell'art. 55 (“centri storici”), L.r. n. 71/78, “gli interventi nei centri storici, nonché negli agglomerati di antica o recente formazione contraddistinti da valori storici, urbanistici, artistici ed ambientali, anche se manomessi o degradati o non presenti tutti contestualmente, si attuano con l'osservanza delle finalità indicate nell'art. 1 della legge regionale 7 maggio 1976, n. 70. Gli strumenti urbanistici attuativi relativi alle zone sopra indicate sono redatti secondo le finalità previste dall'art. 2 della legge regionale 7 maggio 1976, n. 70, anche in variante del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione”.

Tali norme ivi richiamate, prevedono che “i centri storici dei comuni dell'Isola sono beni culturali, sociali ed economici da salvaguardare, conservare e recuperare mediante interventi di risanamento conservativo” (art. 1, L.r. n. 70/76) e che “i comuni, nella redazione dei piani particolareggiati relativi ai centri storici, debbono perseguire:

a) la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione del patrimonio storico, monumentale ed ambientale;

b) il recupero edilizio ai fini sociali ed economici, anche applicando la legislazione regionale in materia nonché le leggi 17 agosto 1942, n. 1150, 18 aprile 1962, n. 167, e loro successive modifiche ed integrazioni” (art. 2, L.r. n. 70/76).

La cogenza di cui alle superiori prescrizioni è ben ricordata dal C.R.U. in sede di valutazione del progetto presentato dalla S.T.U. ove, in merito all'intervento n. 7 (Edificio Via S. Maria del Selciato) evidenzia “che l'area di intervento non possa essere qualificata come zona “B” e di conseguenza non possa derogarsi alle prescrizioni dettate dall'art. 55 della L.r. n. 71/78.

Dall'analisi degli interventi caratterizzanti il programma della S.T.U. emerge con tutta evidenza che lungi dal perseguirsi “la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione del patrimonio storico, monumentale ed ambientale, si edificherà sconvolgendo completamente le caratteristiche del quartiere storico.

In particolare, è prevista la costruzione di un parcheggio pubblico a sei livelli con sovrapposti altri tre livelli per il polo scolastico (c.d. “intervento 1”),  di un centro commerciale a cinque elevazioni fuori terra (c.d. “intervento 2bis”)[2] con sovrapposti due edifici E.R.P. (c.d. “intervento 10bis”) a sei elevazioni fuori terra per complessivi 11 edifici f.t., un edificio per uffici in Viale Cadorna, previa demolizione dell'esistente, a dodici (!) elevazioni fuori terra, oltre due interrati a parcheggio (c.d. “Intervento 5”), un edificio per uffici originariamente previsto in Via A. Martino, ma poi spostato su richiesta della Soprintendenza BB.CC., a nove (!) elevazioni fuori terra, (c.d. “Intervento 6”), un edificio residenziale in Via S. Maria del Selciato, previa demolizione dell'esistente, a otto (!) elevazioni fuori terra, oltre due interrati a parcheggio (c.d. “Intervento 7”), un edificio residenziale in Viale Italia (c.d. “Intervento 8 ter”).

Le opere previste, inoltre, non saranno pubbliche, ma private, così come dispone l'art. 120, comma 2, D. Lgs. n. 267/000 a mente del quale « Le società di trasformazione urbana provvedono alla preventiva acquisizione delle aree interessate dall'intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione delle stesse. Le acquisizioni possono avvenire consensualmente o tramite ricorso alle procedure di esproprio da parte del comune ».

La natura privatistica delle opere oggetto dell'intervento di trasformazione urbana è dichiarata dalla stessa Società nello « Studio di Fattibilità della Società di trasformazione urbana “Il Tirone” – Allegato 1 », al punto 2.1.3., intitolato Modello di gestione dell'opera, nel quale si afferma che « – la STU non prevede una gestione diretta delle opere realizzate. Le analisi della domanda e dell'offerta hanno fornito un quadro molto positivo e consentono ragionevolmente di prevedere che tutte le opere realizzate dalla STU saranno vendute sul mercato. – Si prevede quindi che la STU provvederà a fornire i piani di manutenzione di ciascuna opera realizzata ma non procederà alle gestioni limitandosi alla manutenzione fino alla cessione degli immobili. – Saranno poi gli acquirenti a provvedere alla gestione delle opere ».

Esemplare, al riguardo, l''intervento n. 2 definito “Centro artigianale nella « Relazione illustrativa delle modifiche attuative del PRG » del Marzo 2006 (e, « 2bis – Centro commerciale » nelle « Linee guida del Piano industriale » dell'ottobre 2006 allegato allo Studio di fattibilità, per le prospettive di maggiore redditività: cfr. pag. 17 dello « Studio di fattibilità – Relazione illustrativa – Allegato 1 »). Nelle « Linee guida del Piano industriale » si afferma che « Il Centro Commerciale si realizzerà mediante un contratto di fornitura “chiavi in mano” con i commercianti acquirenti. Il pagamento avverrà con acconti da versare proporzionalmente all'avanzamento dei lavori » (pag. 4), dimostrando che regime proprietario, modalità realizzative e  gestionali sono in tutto e per tutto quelle proprie di un'opera commerciale privata, da realizzarsi, però, in zona “Sp/p)!

Analogo discorso può farsi per l'intervento n. 8 ter (Edificio residenziale in Viale Italia). Nelle « Linee guida al piano industriale » si legge, infatti, che «Il Palazzo di Viale Italia sarà realizzato superiormente alle rampe stradali di accesso per la scuola e per il parcheggio e la STU contribuirà alla realizzazione di dette opere mentre superiormente realizzerà l'edilizia privata. La STU provvederà successivamente alla commercializzazione degli immobili acquistati per uso abitazione e/o uffici privati» (pag. 5).

Non v'è dubbio, pertanto, che i provvedimenti impugnati siano illegittimi e vadano annullati.

XXI – Violazione e falsa applicazione art. 107, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Art.1, lett. h), L.r. 11 dicembre 1991, n. 48. Incompetenza.

            Com'è noto, uniformandosi ad un autentico principio generale dell'organizzazione della pubblica amministrazione, anche il D. Lgs. n. 267/2000 distingue nettamente i compiti di indirizzo e controllo politico-amministrativo (di spettanza degli organi elettivi) da quelli gestionali, di competenza della struttura dirigenziale (in Sicilia vedi anche l'art. 1, lett. h, L.r. n. 48/1991 di recepimento dell'art. 51, L. 8 giugno 1990, n. 142).

            In particolare, a norma dell'art. 107, D. Lgs. n. 267/2000 (art. 51, L. n. 142/90, art. 1, Lett. h). L.r. n. 48/91), « spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.

Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108.

3. Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente: (…)

c) la stipulazione dei contratti ».

            Ebbene, in plateale violazione di tale norma, il D.P. qui impugnato e l'Accordo di programma del 21 ottobre 2008. già oggetto del ricorso introduttivo e dei motivi aggiunti, sono sottoscritti, rispettivamente dal Presidente della Regione e dal Sindaco. Entrambi gli atti, invece, erano di competenza dei Dirigenti preposti come, d'altronde, avviene normalmente per tutti gli atti di pianificazione urbanistica assunti nella forma del D.D.G. e non del D.P.

            Indiscutibili, dunque, i vizi degli atti richiamati e, in via derivata, di tutti quelli successivi della sequela procedimentale.

            XXII – Violazione e falsa applicazione dell'art. 55 della L.R. n. 71/78 e della L.r. n. 70/76. Eccesso di potere sotto il profilo della mancanza dei presupposti e dell'istruttoria. Disparità di trattamento e sviamento.

Come già chiarito, ai sensi dell'art. 55 (“centri storici”), L.r. n. 71/78, “gli interventi nei centri storici, nonché negli agglomerati di antica o recente formazione contraddistinti da valori storici, urbanistici, artistici ed ambientali, anche se manomessi o degradati o non presenti tutti contestualmente, si attuano con l'osservanza delle finalità indicate nell'art. 1 della legge regionale 7 maggio 1976, n. 70. Gli strumenti urbanistici attuativi relativi alle zone sopra indicate sono redatti secondo le finalità previste dall'art. 2 della legge regionale 7 maggio 1976, n. 70, anche in variante del piano regolatore generale o del programma di fabbricazione”.

Il C.R.U., in sede di valutazione del progetto presentato dalla S.T.U. ed in relazione all'intervento n. 7 (Edificio Via S. Maria del Selciato) ha evidenziato “che l'area di intervento non possa essere qualificata come zona “B” e di conseguenza non possa derogarsi alle prescrizioni dettate dall'art. 55 della L.r. n. 71/78, conseguentemente si prescrive che, ferma restando la volumetria prevista, debba procedersi alla riduzione dell'altezza massima indicata per l'edificio in questione riducendola al limite max (ml. 17,00) dei fabbricati limitrofi, quest'ultimo rilevabile anche dagli elaborati progettuali.

Contraddittoriamente a tali premesse, e quindi illegittimamente, pur innanzi a tale condivisibile prescrizione relativa al precedente manufatto, per il cd. intervento 5 bis (“edificio per uffici destinati ad uso pubblico Via Cadorna”), posto ad appena qualche metro di distanza da quello (quindi, involgente gli identici valori urbanistici), il C.R.U. afferma, con motivazione carente e contraddittoria, di poter ammettere la nuova classificazione prevista “in considerazione della scarsa qualità del tessuto urbano esistente, all'interno del quale l'intervento si colloca”.

Anche in ragione di quanto sopra, non v'è dubbio, pertanto, che i provvedimenti impugnati siano illegittimi e vadano annullati.

XXIII – Violazione e falsa applicazione art.68 Statuto del Comune di Messina.

Secondo la norma statutaria, il parere dei Consigli circoscrizionali è obbligatorio « C) sul piano regolatore e sul programma di fabbricazione; sui piani particolareggiati e di zona; sulle convenzioni urbanistiche e in particolare sulle opere di urbanizzazione, sulla localizzazione di uffici destinati a servizi sociali riguardanti la circoscrizione; ».

Gli atti deliberativi impugnati con gli odierni motivi aggiunti sono stati adottati senza aver chiesto il parere della Circoscrizione competente (fino a dicembre 2005 la VII; dopo, a causa delle riorganizzazione degli organi di decentramento infracomunale, la IV). In particolare, il parere della Circoscrizione non risulta né acquisito, né tantomeno chiesto, in riferimento a tutti gli atti già impugnati con il ricorso principale ed i successivi motivi aggiunti (delibera del Consiglio comunale 30 ottobre 2001, n. 73/C  avente ad oggetto “Costituzione di una Società di trasformazione Urbana a prevalente capitale privato ex art. 120 del D.lgs. 18 agosto 2000. n. 267 »; delibera del Consiglio comunale 6 agosto 2004, n. 56/c, avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “Il Tirone”. Approvazione »; Delibera commissariale 14 luglio 2005, n. 687 avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “Il Tirone”. Approvazione studio di fattibilità »; delibera del Consiglio comunale 24 marzo 2006, n. 15/C avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “il Tirone”. Approvazione “linee guida del piano industriale »; delibera del Consiglio comunale 16 ottobre 2006, n. 77/c, avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “Il Tirone”. Variazioni conseguenti al parere della Soprintendenza dei Beni culturali ed ambientali di Messina »; deliberazione 21 novembre 2008, n. 57/C, con la quale è stato ratificato l'accordo di programma del 21/10/2008 tra la Regione Siciliana ed il Comune di Messina) nonché sugli ulteriori propedeutici alla pubblicazione del D.P. impugnato.

            Il ruolo del Consiglio circoscrizionale, pertanto, pur trattandosi di provvedimenti in materia urbanistica concernenti un piano di attuazione del P.R.G. di Messina e convenzioni urbanistiche (cfr. la Convenzione stipulata il 29 ottobre 2004), è stato del tutto pretermesso, con la conseguente violazione di quanto disposto dall'art. 68 dello Statuto comunale.

            Non resta che annullare, anche per tale circostanza, i provvedimenti impugnati.

XXIV – Violazione e falsa applicazione del P.A.I. (Piano di assestamento idrogeologico) della Sicilia.

I provvedimenti impugnati sono illegittimi perché adottati senza tenere in considerazione che, da qualche tempo, risulta approvato il nuovo P.A.I. della Regione Sicilia con il quale la zona oggetto di causa è stata in parte classificata “R4” e, dunque, ad altro rischio idrogeologico. Nessun mutamento al progetto, tuttavia, è intervenuto per far fronte alla nuova classificazione di zona.

XXVDifetto di motivazione ed eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento; illegittimità derivata. 

Il voto del C.R.U. 1 aprile 2009, n. 145, richiamato nel D.P. 9 luglio 2009 come allegato “6” per farne parte integrante, contiene una motivazione talmente inconsistente da creare imbarazzo.

Occorre premettere che i ricorrenti, oltre ad altri cittadini che, secondo quanto risulta agli scriventi, portatori di qualificati interessi hanno proposto altre e separate impugnazioni dinanzi a codesto On.le Tribunale avverso i medesimi provvedimenti, oltre ad avere effettuato le rituali notifiche del gravame e dei successivi motivi aggiunti, si son fatti carico di trasmettere copia dei ricorsi per posta direttamente al C.R.U. perché l'organo urbanistico avesse piena e diretta contezza delle doglianze mosse contro la procedura in questione.

Orbene, nel proprio “voto”, che dovrebbe costituire la struttura motivazione fondamentale dell'intero procedimento, il Consiglio regionale dell'urbanistica, si lancia in affermazioni prive di senso giuridico e inidonee a costituire una minima giustificazione del contenuto provvedimentale.

Il C.R.U., infatti, afferma che i « ricorsi non recano nessuna domanda cautelare », circostanza, questa del tutto irrilevante ai fini della delibazione delle censure; si perita, poi, sostituendosi alle valutazioni di codesto On.le Tribunale e facendo sfoggio anche di inaspettate cognizioni processuali, di affermare « che gli stessi – prima facie – appaiono tardivi, inammissibili e, comunque, nel merito riguardano, in parte, vizi meramente procedimentali relativi all'azione amministrativa del Comune di Messina, ed in parte, asseriti vizi che – ove ipoteticamente esistenti – verrebbero meno con la variante in esame ».

Entrambi gli argomenti non hanno, ovviamente, alcuna consistenza:

1) quanto alla natura dei « vizi meramente procedimentali relativi all'azione amministrativa del Comune di Messina » dimentica il C.R.U., e gli uffici dell'Assessorato e della stessa Presidenza della Regione che hanno istruito il procedimento, che la delibazione degli atti del procedimento ad essi demandata attiene al contenuto, così come alla legittimità dell'intervento; diversamente opinando significherebbe che, il C.R.U. e gli uffici dell'Assessorato siano soliti approvare, ad esempio, piani regolatori illegittimi sul piano procedimentale seguito, sol perché nel merito ritengono di dover condividere le scelte tecniche in quelli contenute. Così, ovviamente non è.

2) Quanto all'argomento secondo il quale gli « asseriti vizi che – ove ipoteticamente esistenti – verrebbero meno con la variante in esame », il C.R.U. sembra ritenersi, nell'esame delle merito delle scelte urbanistiche al suo esame, legibus solutus, in grado cioè, di trasformare con il proprio tocco in legittimo tutto ciò che, a norma di legge, è e resta illegittimo anche sotto le magiche forme di una variante urbanistica.

Seguendo il ragionamento del C.R.U., fatto proprio nel provvedimento finale, infatti, sul nostro territorio sarebbe possibile ed ammissibile qualsiasi variante urbanistica, con il solo limite dell'approvazione da parte degli organi regionali, vero essendo, invece, che è certamente possibile derogare agli previsti solo nei limiti e per le finalità che la legge consente espressamente.

Giova, a tal proposito, ricordare che a norma dell'art. 14 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, è sempre insuperabile « il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 » che, invece, in questo caso sono platealmente violati (cfr. quanto analiticamente dedotto nel ricorso introduttivo).

D'altronde, che i parametri urbanistici ex D.M. n. 1444 del 1968 siano violati nella variante adesso in esame lo conferma la stessa D.R.U. con parere 23 gennaio 2009, n. 2 (cfr. pag. 9).

Come si accennava sopra, già con il ricorso introduttivo ed i primi motivi aggiunti si sono ampiamente illustrate le censure che affliggono l'intero iter amministrativo, sia sotto l'aspetto formale-procedimentale che sotto quello materiale contenutistico. Adesso che tutti quegli atti sono stati sussunti all'interno del provvedimento conclusivo del procedimento (il D.P. 9 luglio 2009), occorre riproporre quelle stesse censure perché infirmano in via derivata tutti gli atti impugnati.

Si ripropongono, pertanto, con la stessa numerazione contenuta negli atti originari, le censure mosse con il ricorso introduttivo e con i primi motivi aggiunti da valere adesso come motivi di impugnazione anche contro gli atti oggetto dei presenti motivi aggiunti di gravame.

I – Violazione e falsa applicazione art. 120, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento; Violazione della Circolare, Min. dei Lavori Pubblici 11/12/2000 n.622. – Violazione e falsa applicazione artt.11 e 19, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 e dell'art. 120, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.

I/a       Il Comune, ancor prima di avviare la costituzione della Società di Trasformazione Urbana, e sicuramente di approvare il Piano industriale e tutti gli altri atti indicati in epigrafe, avrebbe dovuto dotare l'area di ricadenza dell'intervento di un'adeguata pianificazione urbanistica. Illegittimamente, invece, è stata attivata la S.T.U. in base (ed in modo incompatibile) alla vigente disciplina urbanistica.

            La S.T.U., infatti, è uno degli strumenti previsti dalla legge (in specie, l'art. 120, D. Lgs. n. 267/2000) per attuare previsioni inserite negli strumenti urbanistici vigenti: « Le città metropolitane e i comuni, anche con la partecipazione della provincia e della regione, possono costituire società per azioni per progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana, in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti » .

            La legge, quindi, presuppone omogeneità tra le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti e le trasformazioni urbane di competenza della S.T.U. Secondo la dottrina, l'individuazione delle aree sulle quali realizzare l'intervento di trasformazione urbana « non può comportare alcuna variante al piano regolatore generale, dovendo anzi costituire una mera attuazione (non integrativa) di esso » (così A. Fiale, Diritto urbanistico, Napoli Simone, 2003, 408; i corsivi testuali).

Tuttavia, anche condividendo (quale mera ipotesi difensiva) l'interpretazione “attenuata” che il Ministero dei lavori pubblici ha dato all'espressione “in attuazione” contenuta nell'art. 120, D.Lgs. n. 267/2000 (Circolare, Min. dei Lavori Pubblici 11/12/2000 n.622), rimarcandone la diversità con quella “in conformità”, non può non rilevarsi il netto e generale contrasto tra le previsioni del P.R.G. e gli interventi previsti dalla S.T.U. nel caso che qui interessa. Tali opere stravolgono radicalmente l'assetto urbanistico ed edilizio dello storico quartiere, con la creazione di un vero e proprio agglomerato direzionale-residenziale, previa demolizione di numerosi immobili ricadenti in Z.t.o. “A” e perciò oggetto di tutela, cacellando totalmente l'impianto urbanistico e viario storico. Tutto ciò, peraltro, utilizzando parametri edilizi inediti per il P.R.G. di Messina, del tutto fuori scala (si arriva a costruire un edificio a dodici elevazioni fuori terra, mentre il P.R.G. non consente in nessun caso di superare i sei piani fuori terra) e disomogenei rispetto alle caratteristiche architettoniche e dimensionali del contesto urbano messinese.

Secondo il vigente P.R.G. di Messina, infatti, nell'area del Tirone « E' prescritta la formazione di Piano Particolareggiato esteso all'intera zona; nelle more, sono consentiti interventi di manutenzione straordinaria, restauro conservativo e ristrutturazione previo consolidamento statico dell'immobile » (così l'art. 34. N.T.A. P.R.G. di Messina). Nelle more della formazione del Piano particolareggiato, gli interventi di nuova edificazione sono consentiti soltanto nel rispetto di limiti assai stringenti, platealmente violati nel caso di quelli programmati dalla S.T.U. “Il Tirone[3]. Analoghi discorsi si possono fare le zz.tt.oo. “A1” e “A2” come può evincersi dalla lettura degli artt. 30 e ss. delle N.T.A.

È bene chiarire che lo « Studio di fattibilità » redatto dalla S.T.U. prevede 10 interventi. In sede di approvazione (delib. 24 marzo 2006, n. 15/C9) a seguito dell'approvazione di appositi emendamenti, furono sostituiti il n. 8 con il n. 8 ter ed il n. 10 con il 10 bis. Ulteriori modifiche vi sono state a seguito dei rilievi della Soprintendenza con delibera consiliare 16 ottobre 2006, n. 77/c.

Gli interventi in contrasto con il vigente strumento urbanistico sono, pertanto, i seguenti:

Intervento 1 (Allegato 14 allo Studio di Fattibilità): costruzione di un edificio scolastico a tre livelli fuori terra, oltre a sei, seminterrati, per parcheggi (in zona “A3”, la cui realizzazione, su una superficie di 7.000 mq., comporta lo sbancamento di quasi tutta la collina del Tirone);

Intervento 2 (2 bis – Allegato 16 allo Studio di Fattibilità): costruzione di un centro commerciale[4] a cinque elevazioni fuori terra (in zona “Sp/p”, per una superficie di 8.300 mq., utilizzando l'indice fondiario di 18,5 mc/mq. e la distruzione di tutto l'impianto urbano e viario preesistenti) (su tale edificio si prevede la collocazione di ulteriori quattro elevazioni fuori terra: cfr. intervento 10bis);

Intervento 5 (Allegato 19 allo Studio di Fattibilità) costruzione di un edificio a dodici (!) elevazioni fuori terra, oltre a due interrati destinati a parcheggio, per uffici in Viale Cadorna, previa demolizione dell'esistente (in zona “A2”);

Intervento 6: costruzione di un edificio per uffici originariamente previsto in Via A. Martino, ma poi spostato su richiesta della Soprintendenza BB.CC., a nove (!) elevazioni fuori terra;

Intervento 7 (Allegato 21 allo Studio di Fattibilità): costruzione di un edificio residenziale in Via S. Maria del Selciato, previa demolizione dell'esistente di pregevole fattura, a otto (!) elevazioni fuori terra, oltre due interrati a parcheggio (in zona “A2”);

Intervento 8 ter (Allegato 24 allo Studio di Fattibilità): costruzione di un edificio residenziale a sei elevazioni fuori terra in Viale Italia (in zona “A3”).

Intervento 10bis: costruzione di due edifici residenziali di E.R.P. a quattro elevazioni fuori terra in sopraelevazione al Centro commerciale di cui al superiore punto 2bis, in zona Sp/p. 

I/b       Si accennava, anche secondo l'interpretazione fornita dal Ministero dei LL.PP. con la richiamata circolare n. 622/Segr. del 2000, che i lavori che la S.T.U. vorrebbe realizzare necessitavano della previa redazione di adeguati strumenti urbanistici. Afferma la circolare, infatti, che « qualora i contenuti e le normative del piano derivino da criteri e metodologie non ancora adeguate, si possono verificare due eventualità:

– che l'ipotesi di trasformazione, ancorché di massima, rispetti sostanzialmente (nei limiti consentiti dalle singole norme regionali) le prescrizioni del piano regolatore generale, pur richiedendo modifiche allo stesso in sede attuativa. Ad esempio, che i pesi complessivi di insediamento e le destinazioni d'uso prevalenti, così come i tracciati delle principali infrastrutture non siano modificati, ma che sia necessario o opportuno modificare, entro tali limiti, il dispositivo zonizzativo e/o specifici dettagli normativi (es. relativo ai tipi edilizi) e/o tracciati infrastrutturali di dettaglio. In questa casistica rientrano, ovviamente, anche eventuali modificazioni delle procedure attuative previste;

– che l'ipotesi di trasformazione contrasti significativamente con le previsioni del piano regolatore generale riguardo le principali infrastrutture, le quantità edilizie e le funzioni prevalenti messe in gioco, ovvero non ne rispetti talune specifiche prescrizioni.

In quest'ultimo caso, il comune, antecedentemente alla costituzione della S.T.U. ed esperite le verifiche economiche di massima di cui al punto 3.1, deve procedere alla approvazione della variante al piano regolatore generale  » (circolare n. 622/Segr. del 2000).

Nel caso che ci occupa si ricade sicuramente nella seconda ipotesi (cfr. infra, per l'analitica descrizione degli interventi, macroscopicamente “in variante” rispetto alle previsioni del vigente P.R.G.): l'edificazione è, dall'art. 34 N.T.A. del P.R.G., subordinata alla redazione di un Piano particolareggiato o, in mancanza, all'osservanza di rigorose prescrizioni incompatibili con il contenuto dell'intervento programmato dalla S.T.U.       

Anche la giurisprudenza è nel senso qui dedotto: « È illegittima la deliberazione di assegnazione di un'area alla s.t.u. e di contestuale avviamento della procedura di espropriazione senza la previa approvazione di un progetto urbanistico sostitutivo del Piano di lottizzazione previamente approvato, in quanto, il presupposto per la dichiarazione di pubblica utilità dell'opera può aversi solo se e quando la delimitazione dell'area dell'intervento riguardi area già soggetta a vincolo preordinato all'esproprio e coincida con l'approvazione di uno strumento urbanistico al quale le norme (art. 12, t.u. n. 327 del 2001) attribuiscano tale efficacia (nella fattispecie il collegio ha ritenuto che l'art. 120 del t.u. sugli enti locali n. 267 del 2000, il quale annette alla delimitazione dell'area dell'intervento il valore di dichiarazione di pubblica utilità, non può essere inteso nel senso letterale, che sia sufficiente delimitare un ambito territoriale di proprietà privata per apporre “ex se” sull'area un vincolo preordinato all'esproprio e contestualmente dichiarare la pubblica utilità dell'intervento in assenza di un piano o di un progetto approvato, al quale riferire tale dichiarazione; ciò in quanto, se così fosse intesa la norma sarebbe chiaramente incostituzionale perché in nessun caso l'ordinamento ammette che si possa espropriare un'area privata in funzione di un'opera ancora da progettare e da approvare o di uno strumento urbanistico avente esso stesso valore di dichiarazione di pubblica utilità) » (T.A.R. Veneto Venezia, sez. I, 9 dicembre 2004, n. 4280).

            Occorre, pertanto, prendere atto di ciò e, conseguentemente annullare tutti i provvedimenti impugnati. 

I/c       Ulteriormente svolgendo la superiore censura, è da rilevare che l'avviso del 22 marzo 2008 è stato diffuso sulla stampa locale a norma dell'art. 11, D.P.R. n. 327/2001. In esso si afferma dell'approvazione in data 16 ottobre 2006, da parte della Conferenza dei Servizi, del Progetto preliminare e che «successivamente alla detta approvazione del progetto da parte della Conferenza dei servizi si procederà alla stipula della schema di Accordo di Programma ed alla successiva emanazione ».

Tuttavia, a norma dell'art. 10, D.P.R. n. 327/2001, intitolato significativamente, « Vincoli derivanti da atti diversi dai piani urbanistici generali », «Se la realizzazione di un'opera pubblica o di pubblica utilità non è prevista dal piano urbanistico generale, il vincolo preordinato all'esproprio può essere disposto, ove espressamente se ne dia atto, su richiesta dell'interessato ai sensi dell' articolo 14, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero su iniziativa dell'amministrazione competente all'approvazione del progetto, mediante una conferenza di servizi, un accordo di programma, una intesa ovvero un altro atto, anche di natura territoriale, che in base alla legislazione vigente comporti la variante al piano urbanistico. 2. Il vincolo può essere altresì disposto, dandosene espressamente atto, con il ricorso alla variante semplificata al piano urbanistico da realizzare, anche su richiesta dell'interessato, con le modalità e secondo le procedure di cui all' articolo 19 , commi 2 e seguenti ».

Il successivo art. 19 chiarisce al primo comma che « quando l'opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche (come nel caso che ci occupa, n.d.r.), la variante al piano regolatore può essere disposta con le forme di cui all'articolo 10 , comma 1, ovvero con le modalità di cui ai commi seguenti ».

Poiché, però, l'art. 120, T.U. n. 267/2000 prescrive che la delibera consiliare di individuazione degli immobili equivale a dichiarazione di pubblica utilità, anche per gli immobili non interessati da opere pubbliche, consegue, dopo aver coordinato le diverse fonti normative in rilievo, che il procedimento di variante urbanistica deve intervenire prima, e non dopo, la costituzione della S.T.U.

Diversamente non si potrebbe dar luogo ad una procedura coerente, come, infatti, sta avvenendo nel caso che ci occupa. Da un lato, infatti, l'art. 120, D.Lgs. n. 267/2000, conferisce, senza eccezioni di sorta, efficacia di p.u. alla semplice delibera di individuazione degli immobili (che, nel nostro caso, è stata il primo atto della sequela procedimentale impugnata: Delib. 30 ottobre 2001, n. 73/C); dall'altro, il Comune ha attivato solo dopo la conferenza dei servizi del 16/10/2006 il procedimento di variante urbanistica necessario per far sorgere il vincolo preordinato all'esproprio, così “confessando” che all'atto della dichiarazione di p.u. (delib. 30/10/2001, n. 73/C) l'intervento era difforme allo strumento urbanistico vigente e quindi non poteva sorgere legittimamente nessun vincolo preordinato all'esproprio che, invece, è imposto ope ( e anche contra) legis (art. 120, D.Lgs. n. 267/2000).

Evidente, dunque, l'illegittimità del procedimento seguìto e dei provvedimenti impugnati.

II – Eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà e dello sviamento. Eccesso di potere sotto il profilo della mancanza dei presupposti e della violazione della Circolare della Presidenza della Regione 2 settembre 1999, n. 1/V (in G.U.R.S. 10 settembre 1999, n. 43).

a)        Anche la circolare del Presidente della Regione siciliana 2 settembre 1999, n. 1/V (in G.U.R.S. 10 settembre 1999, n. 43) conferma l'illegittimità dell'operato del Comune di Messina che non ha approvato per tempo la necessaria variante urbanistica.

            Con la circolare in parola sono stati forniti chiarimenti in ordine all'iter procedurale per l'approvazione di Accordi di programma e per le Conferenze dei servizi inerenti gli strumenti di programmazione negoziata (la circolare in parola è espressamente richiamata al punto “4.” della “Relazione illustrativa delle modifiche attuative del PRG” annesso allo Studio di fattibilità  approvato dal Consiglio comunale con la delibera n. 15/c/2006). Ebbene, la circolare afferma che « prima dell'istanza, nel caso in cui l'accordo prevede variazioni agli strumenti urbanistici, occorre che l'amministrazione abbia già redatto la variante e che la stessa sia stata trasmessa al consiglio comunale per la relativa adozione ».

            Tutto ciò non è avvenuto nel caso che ci occupa. La Conferenza dei servizi, infatti, è stata promossa dal Comune con nota 23 marzo 2006, n. 96/Ass. A quella data non era stata trasmessa al Consiglio comunale per l'adozione di nessuna variante al P.R.G. che, tantomeno era stata predisposta, così come la circolare richiede.

A quella data, infatti, erano stati adottati soltanto i seguenti atti deliberativi:

1) delibera del Consiglio comunale 30 ottobre 2001, n. 73/C  avente ad oggetto “Costituzione di una Società di trasformazione Urbana a prevalente capitale privato ex art. 120 del D.lgs. 18 agosto 2000. n. 267 ».

2) delibera del Consiglio comunale 6 agosto 2004, n. 56/c, avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “Il Tirone”. Approvazione ».

3) « Convenzione tra il Comune di Messina e la Società di trasformazione urbana denominata “il Tirone” S.P.A. per il recupero della zona Tirone » sottoscritta in data 29 ottobre 2004.

4) Delibera commissariale 14 luglio 2005, n. 687 avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “Il Tirone”. Approvazione studio di fattibilità ».

5) delibera del Consiglio comunale 24 marzo 2006, n. 15/C avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “il Tirone”. Approvazione “linee guida del piano industriale ».

Alla delibera del 24 marzo 2006, n. 15/C (peraltro, successiva e non anteriore all'istanza per la convocazione della Conferenza dei Servizi, contrariamente a quanto prescritto dalla Circolare n. 1/V del 1999), non è allegata nessuna variante urbanistica, ma soltanto una “Relazione illustrativa delle modifiche attuative del PRG” che è cosa ben diversa in quanto studio prodromico e parziale. D'altronde, nella parte dispositiva della delibera in questione si legge soltanto una presa d'atto dello studio di fattibilità, l'approvazione delle linee guida del piano industriale, ma non l'approvazione (melius, l'adozione) di nessuna variante urbanistica. Come se non bastasse, con l'atto deliberativo in parola, si conferisce mandato all'Amministrazione di promuovere le procedure semplificate per la definizione e l'attuazione delle opere anche, ove necessario, in deroga o in variante allo strumento urbanistico, richiamando l'art. 19 della Convenzione del 29/10/04 e gli accordi di programma ex art. 1, lett. e), L.r. n. 48/91, ossia l'istituto cui si riferisce proprio la Circolare della Presidenza n. 1/V del 1999 secondo la quale, prima (e non dopo) di inoltrare “l'istanza, nel caso in cui l'accordo prevede variazioni agli strumenti urbanistici, occorre che l'amministrazione abbia già redatto la variante e che la stessa sia stata trasmessa al consiglio comunale per la relativa adozione”.

b)        Occorre anhe dedurre il difetto di istruttoria posto che gli interventi nn. 2 bis (Centro commerciale) 8 ter (Edificio residenziale in Viale Italia) e 10 bis (Intervento di E.R.P. sul tetto del Centro commerciale) non sono stati istruiti dall'Area Coordinamento politiche del territorio – Servizio S.I.T. del Comune. La relazione del Servizio, infatti, datata Giugno 2005 . Aggiorn.: febbraio 2006” (allegata alle delibera 24/3/2006, n. 15/c, prende in considerazione gli interventi originari e non quelli sopra indicati.

Palese, dunque, l'illegittimità degli atti impugnati e della procedura seguita.

III – Violazione e falsa applicazione art. 120, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento; Violazione della Circolare, Min. dei Lavori Pubblici 11/12/2000 n.622.

            Più in generale, può rilevarsi come, in palese violazione dell'art. 120 D. Lgs. n. 267/2000, nonché degli altri parametri sopra richiamati, l'intero intervento della S.T.U. “Il Tirone” sia carente dei fondamentali requisiti per essere realizzato. In sostanza, nel caso che ci occupa il Comune ha abdicato al ruolo che la legge gli assegna, lasciando di fatto la regia dell'intera operazione di trasformazione urbana alla S.p.a. (della quale è, giova ricordare, socio di minoranza).

            Secondo la circolare Min. LL.PP. n. 622/2000 « l'indicazione della legge, a questo proposito, è inequivocabile: i protagonisti dell'iniziativa sono gli enti locali a cui spetta il compito di elaborare e adottare i piani urbanistici generali e particolareggiati, come anche ogni altro documento di programma e disciplina » (…) « solo l'amministrazione titolare delle competenze urbanistiche, nel senso indicato, può, infatti, assumere le funzioni di direzione, politica e amministrativa, dell'iniziativa » (così al punto 1.1.).

            Il Comune, invece, nell'attivare la S.T.U. (delib. 30 ottobre 2001, n. 73/c) non ha esercitato le funzioni pianificatorie e di governo del territorio che la legge gli assegna (ed in rapporto alle quali la S.T.U. si pone come strumento operativo di attuazione), ma ha lasciato che fosse la nascente S.p.a. ad assumere ogni funzione al riguardo. Nella delibera n. 73/c/2001, infatti, dopo aver descritto sommariamente lo stato di degrado dell'area interessata ed aver evidenziato la necessità di intervenire per il suo risanamento, afferma come « la Società mista debba avere come scopo l'attuazione ed il perseguimento dei seguenti obiettivi: a) pianificazione strategica e programmazione (ideazione progetti) nei contenuti di cui alla narrativa che precede; b) verifica di compatibilità della programmazione  con gli strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica;  c) individuazione e ricerca delle fonti di finanziamento sia pubblici che privati atti alla realizzazione dei progetti indicati ivi compresi quelli comunitari ». Senza alcun piano da attuare (né generale, che nella zona rinvia ad un inesistente piano particolareggiato – art. 34 N.T.A. – né, e a maggior ragione, attuativo), senza alcun progetto, ancorché di massima, senza alcuna previsione che non fosse quella generica di « procedere sia al recupero della zona Tirone e alla sua rifunzionalizzazione sia alla riqualificazione dell'adiacente tessuto comprendente via Porta Imperiale e p.zza del Popolo secondo la perimetrazione riportata negli elaborati tecnici anche con l'obiettivo di mettere a sistema le due zone » (così la delib. n. 73/c/2001), l'intervento di trasformazione urbana è nato con una delega in bianco alla nascente S.T.U. che, infatti, con il Piano industriale e lo studio di fattibilità ha svolto quelle funzioni di pianificazione, governo, programmazione e regia del territorio che, invece, avrebbero dovuto essere esercitate dal Comune e semplicemente attuate dalla S.p.a. a capitale misto.

            L'art. 2 della Convezione stipulata tra il Comune e la S.T.U. il 29 ottobre 2004 conferma quanto appena dedotto. Si legge, addirittura, che « la Società Tirone (…) si impegna a: predisporre piano industriale e cronoprogramma degli interventi secondo la proposta progettuale presentata dai soci privati nella procedura selettiva per la costituzione della Società di trasformazione (…); redigere, in conformità ai contenuti del piano industriale ed al relativo cronoprogramma, agli strumenti urbanistici vigenti nel Comune di Messina, fatte salve eventuali modifiche degli standard tipologico dei servizi, piano particolareggiato e/o altro strumento di pianificazione urbanistica attuativo del PRG comunale … ».

Come si può notare, non è il Comune a dirigere l'intervento di trasformazione urbana, ma la Società, peraltro, « secondo la proposta progettuale  presentata dai soci privati » che costituiscono la maggioranza del capitale sociale. All'ente locale resta soltanto il potere di approvare il piano industriale e gli atti di pianificazione, ben poca cosa per un intervento così complesso del quale, secondo la legge, dovrebbe essere titolare il Comune.

            Anche sotto tale profilo, pertanto, risulta violato il disposto dell'art. 120, D. Lgs. n. 267/2000 secondo il quale la S.T.U. è un mero strumento di “attuazione” delle previsioni del P.R.G. e non sostitutivo delle funzioni di regia e direzione che restano in capo all'ente locale (così come la Circ. n.622/Segr./2000 evidenzia).

IV – Violazione e falsa applicazione art. 120, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Violazione e falsa applicazione art. 2, Convenzione tra il Comune e S.T.U. “Il Tirone S.P.A.” sottoscritta il 29  ottobre 2004. Violazione e falsa applicazione art. 7 e 8, D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 ed art. 14, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

            Senza recesso da quanto appena dedotto, come richiamato al punto precedente, la Convenzione tra il Comune e la S.T.U. prevede (art.2) che le varianti agli strumenti urbanistici (ammesso che siano astrattamente possibili e nella misura che qui occorrerebbe) potrebbero riguardare soltanto «eventuali modifiche agli standard tipologici dei servizi».

            Ebbene, nel caso che ci occupa i punti di contrasto con il vigente P.R.G., e quindi la necessità di varianti, lungi dal riguardare soltanto gli “standard tipologici dei servizi”, concernono la zonizzazione, la tipologia degli interventi, gli standard edilizi e i vincoli paesistici. In una zona di interesse storico, infatti, non a caso classificata come “A” dal vigente strumento urbanistico, che impone un piano particolareggiato unitario di intervento (che in ogni caso non potrebbe prevedere quanto proposto dalla S.T.U.) e, nelle more, rigorosissime prescrizioni in caso di nuove edificazioni per non mutare le caratteristiche architettoniche, ambientali, urbane, il Piano industriale prevede opere volte a stravolgere l'intero contesto.

            In particolare, è prevista la costruzione di un parcheggio pubblico a sei livelli con sovrapposti altri tre livelli per il polo scolastico (c.d. “intervento 1”),  di un centro commerciale a cinque elevazioni fuori terra (c.d. “intervento 2bis”)[5] con sovrapposti due edifici E.R.P. (c.d. “intervento 10bis”), un edificio per uffici in Viale Cadorna, previa demolizione dell'esistente, a dodici (!) elevazioni fuori terra, oltre due interrati a parcheggio (c.d. “Intervento 5”), un edificio per uffici originariamente previsto in Via A. Martino, ma poi spostato su richiesta della Soprintendenza BB.CC., a nove (!) elevazioni fuori terra, (c.d. “Intervento 6”), un edificio residenziale in Via S. Maria del Selciato, previa demolizione dell'esistente, a otto (!) elevazioni fuori terra, oltre due interrati a parcheggio (c.d. “Intervento 7”), un edificio residenziale in Viale Italia (c.d. “Intervento 8 ter”).

Nella “Relazione illustrativa delle modifiche attuative del PRG” annesso allo “Studio di fattibilità  (allegato alla delibera 24 marzo 2006, n. 15/C qui impugnata) si precisa (punto “3.”) che le “le modifiche attuative del P.R.G. attengono sostanzialmente a quattro cambiamenti di Zone territoriali omogenee, e a due variazioni di parametri edilizi (altezze massime, e coni visuali), nel rispetto degli standard di dotazione dei servizi (viabilità, parcheggi, fognature, ecc….. e del carico residenziale del Piano”.

Da ciò, a parte il significativo ossimoro (“modifiche attuative”), indicativo di contraddittorietà ed illogicità intrinseche, due evidenti vizi del procedimento:

1)     le varianti richieste non riguardano soltanto « modifiche agli standard tipologici dei servizi », così come soltanto consentirebbe (e sempre ammettendo per ipotesi che lo possa permettere), l'art. 2 della Convenzione, ma l'azzonamento, i vincoli paesistici, gli standard edilizi (altezza massima, indice fondiario, numero di piani fuori terra), per residenze e uffici, tipologie edilizie che nulla hanno a che vedere con i servizi;

2)     le varianti richieste, oltre a introdurre standard edilizi inediti per il P.R.G. di Messina (in nessuna Z.T.O. è possibile realizzare edifici a 8, 9 o, addirittura, 12 elevazioni fuori terra) sono del tutto incompatibili con la destinazione dell'area di intervento che, indicata come “A” dal P.R.G., impone la salvaguardia delle tipologie edilizie e delle caratteristiche urbanistiche storiche (l'art. 34, N.T.A., comma 3, lett. d, vieta di superare l'indice di fabbricabilità fondiaria di 3 mc/mq. (neanche il Piano particolareggiato potrebbe consentire quanto progettato dalla S.T.U.!).

Nella « Relazione sullo studio di fattibilità » curato dall'Area Coordinamento Politiche del Territorio – Servizio S.I.T. del Comune in data giugno 2005-febbraio 2006, si esprime il seguente giudizio per ciascun intervento in variante[6]: « l'opera è conforme allo strumento urbanistico secondo quanto previsto dall'art. 30 (relativo alle zone “A”, ma ciò non era vero per l'originaria previsione del Centro artigianale e lo è ancor meno per l'attuale, ossia la realizzazione di un Centro commerciale perché trattasi di zona Sp/p, n.d.r.) per quanto riguarda la destinazione d'uso con la deroga di cui all'art. 66 comma 2) delle N.T.A. per quanto riguarda i parametri urbanistici, trattandosi di opera di urbanizzazione secondaria pubblica di cui all'art. 22 delle N.T.A ». Secondo l'ufficio comunale che ha curato l'istruttoria, quindi, la compatibilità tra le opere previste e la destinazione di zona “A” riguarderebbe soltanto le tipologie di destinazione d'uso (residenziale, commerciale, etc.), ma non per i parametri edilizi, per i quali si rinvia alla deroga prevista, in via generale, dall'art. 66, comma 2, delle N.T.A. del P.R.G. di Messina « trattandosi di opera di urbanizzazione secondaria pubblica di cui all'art. 22 delle N.T.A ».

L'assunto è errato sotto un duplice profilo:

IV/a)   Alcune tra le opere progettate nell'intervento di trasformazione urbana non potranno avere la deroga di cui all'art. 66, comma 2, N.T.A. del P.R.G. di Messina perché non sono classificabili come opere di urbanizzazione secondaria ex art. 22, N.T.A.

            Secondo l'art.66 richiamato, infatti, « La edificazione delle opere di urbanizzazione secondaria, pubbliche o di uso pubblico, di cui all'art. 22, è esente dal rispetto dei limiti di densità e di altezza stabiliti dal presente Piano Regolatore Generale per le singole zone ». L'art. 22 indica le opere di urbanizzazione secondaria[7], tra le quali non sono ricomprese quelle oggetto della gran parte degli interventi programmati.

In particolare:

a) Con l'intervento n. 2, secondo la richiamata « Relazione sullo studio di fattibilità » redatta dal Comune, era prevista la realizzazione di un Centro artigianale. Si afferma che « l'opera necessita di modifica allo strumento urbanistico da servizi pubblici di tipo verde attrezzato a servizi pubblici per attrezzature di interesse collettivo (artigianato di servizio) ». Si trascura di considerare, però, che, secondo il progetto il centro artigianale, dovrebbe servire ad ospitare attività artigianali «comportanti emissioni in atmosfera presenti all'interno dell'area interessata (falegnami restauratori, officine di riparazione autoveicoli e motorini, ecc.) in una unica area coperta e appositamente dedicata ed attrezzata all'uopo»  (così, la Relazione sullo studio di fattibilità). Tutto ciò in aperto contrasto con quanto prescritto dal P.R.G.: « all'interno delle zone A non sono consentite destinazione d'uso per l'insediamento di nuove officine meccaniche, di elettrauto, carrozziere e similari, né sono altresì consentiti subentri alle stesse attività che, allo scadere della licenza, dovranno essere trasferite in altri siti compatibili » (art. 30, N.T.A.).

Se, poi, al posto del Centro artigianale si intende realizzare un «Centro commerciale» (c.d. « Intervento 2bis »), il contrasto con la destinazione di zona (“Sp/p) è ancora più stridente ed insuperabile. Nel Piano industriale, peraltro, si afferma esplicitamente che i locali commerciali saranno venduti ai privati, circostanza palesemente assurda in una zona a servizi. A maggior ragione se poi si pensa che sul tetto del Centro commerciale, si intende collocare l'intervento di E.R.P. programmata al n. 10 bis, con patente violazione della prescrizione in ordine alla visuale dalla strada Circonvallazione di cui all'art. 69 N.T.A. della quale si dirà tra breve.

b)  l'intervento n. 7 è un edificio residenziale a otto elevazioni fuori terra in Via S. Maria del Selciato ricadente in zona “A2” del P.R.G. realizzato previa demolizione di un edifico esistente. A norma dell'art. 33 delle N.T.A., però, l'edificazione è ammessa solo nelle aree libere, e quella in questione non lo è. Inoltre, sviluppa ben otto elevazioni fuori terra, e nella z.t.o ne sono ammesse solo 4. L'intervento insedia ben 11.510 mc su un'area di 1543 mq., secondo un indice fondiario superiore a 7,45 mc/mq. (su ciò, infra).

g) L'intervento n. 8 ter è un edificio integralmente residenziale in Viale Italia, conforme, secondo la « Relazione sullo studio di fattibilità » del Comune, all'art. 34 P.R.G., ma necessiterebbe la deroga per quanto riguarda la distanza dal ciglio stradale (ex art. 69 N.T.A.). L'edificio, infatti, prospetta su Viale Italia che è parte della cosiddetta strada “Circonvallazione”, di altissimo pregio panoramico, per la quale la norma da ultimo richiamata prescrive che « le costruzioni non possono superare la quota di metri meno tre rispetto al ciglio stradale della circonvallazione, né distare dal ciglio stesso meno di m 10,00 ».

La deroga necessaria non è possibile perché l'art. 66, secondo comma, consente deroghe ai limiti di altezza «stabiliti dal presente Piano Regolatore Generale per le singole zone» solo per edifici pubblici o di uso pubblico e tale non è sicuramente l'edificio in progetto. Nel caso di che trattasi, inoltre, non si tratta di un limite previsto per una z.t.o., ma di un vincolo paesistico imposto per tutto il confine, lato mare, della Via Circonvallazione (ossia, secondo l'attuale toponomastica, Viale Italia, Viale Principe Umberto, Viale Regina Margherita, Viale Regina Elena, Via Nuova Panoramica dello Stretto), sicché non è invocabile l'art. 66, N.T.A., limitato, invece, a “singole zone”, ossia a singole z.t.o.

Infine, la fattispecie non rientra neppure nella previsione dell'art.2 della Convenzione (che consente deroghe e varianti riguardanti soltanto gli “standard tipologici dei servizi”) e non soccorrerebbe a nessun interesse pubblico trattandosi, peraltro, di un edificio destinato a residenze private da commercializzare a privati.

Per concludere, va anche osservato che l'edificio in parola sviluppa la propria volumetria (ben 30.492 mc) impegnando un'area di 10.000 mq, assai più estesa di quella di sedime. L'area impegnata, però, è la stessa sulla quale è prevista la realizzazione del Centro commerciale sicché ogni possibile volumetria è già ampiamente saturata (melius, superata) dall'edificio commerciale.

IV/b) Le opere previste, inoltre, non saranno pubbliche, ma private, così come dispone l'art. 120, comma 2, D. Lgs. n. 267/000 a mente del quale « Le società di trasformazione urbana provvedono alla preventiva acquisizione delle aree interessate dall'intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione delle stesse. Le acquisizioni possono avvenire consensualmente o tramite ricorso alle procedure di esproprio da parte del comune ».

La natura privatistica delle opere oggetto dell'intervento di trasformazione urbana è dichiarata dalla stessa Società nello « Studio di Fattibilità della Società di trasformazione urbana “Il Tirone” – Allegato 1 », al punto 2.1.3., intitolato Modello di gestione dell'opera, nel quale si afferma che « – la STU non prevede una gestione diretta delle opere realizzate. Le analisi della domanda e dell'offerta hanno fornito un quadro molto positivo e consentono ragionevolmente di prevedere che tutte le opere realizzate dalla STU saranno vendute sul mercato. – Si prevede quindi che la STU provvederà a fornire i piani di manutenzione di ciascuna opera realizzata ma non procederà alle gestioni limitandosi alla manutenzione fino alla cessione degli immobili. – Saranno poi gli acquirenti a provvedere alla gestione delle opere ».

Esemplare, al riguardo, l''intervento n. 2 definito “Centro artigianale nella « Relazione illustrativa delle modifiche attuative del PRG » del Marzo 2006 (e, « 2bis – Centro commerciale » nelle « Linee guida del Piano industriale » dell'ottobre 2006 allegato allo Studio di fattibilità, per le prospettive di maggiore redditività: cfr. pag. 17 dello « Studio di fattibilità – Relazione illustrativa – Allegato 1 »). Nelle « Linee guida del Piano industriale » si afferma che « Il Centro Commerciale si realizzerà mediante un contratto di fornitura “chiavi in mano” con i commercianti acquirenti. Il pagamento avverrà con acconti da versare proporzionalmente all'avanzamento dei lavori » (pag. 4), dimostrando che regime proprietario, modalità realizzative e  gestionali sono in tutto e per tutto quelle proprie di un'opera commerciale privata, da realizzarsi, però, in zona “Sp/p)!

Analogo discorso può farsi per l'intervento n. 8 ter (Edificio residenziale in Viale Italia). Nelle « Linee guida al piano industriale » si legge, infatti, che «Il Palazzo di Viale Italia sarà realizzato superiormente alle rampe stradali di accesso per la scuola e per il parcheggio e la STU contribuirà alla realizzazione di dette opere mentre superiormente realizzerà l'edilizia privata. La STU provvederà successivamente alla commercializzazione degli immobili acquistati per uso abitazione e/o uffici privati» (pag. 5).

Né si può obiettare che i locali per uffici saranno concessi in locazione a enti e amministrazioni pubbliche. Di tale uso pubblico, infatti, non c'è alcuna certezza, ma solo una mera speranza non corroborata né da preliminari contrattuali, protocolli d'intesa, dichiarazioni di disponibilità, richieste di spazi da parte di enti o amministrazioni pubbliche. L'uso per fini pubblici di tali uffici (che, si ripete, sorgeranno comunque di proprietà privata, salvi i successivi negozi di trasferimento o locazione) è, pertanto, un mero auspicio, una mera dichiarazione di intenti, sulla quale non è certo possibile concedere deroghe urbanistiche, tanto più se così gravi e impegnative.

Non si vede come, in sostanza, sarebbe possibile accedere alla deroga ai parametri urbanistici ex art 66, secondo comma, N.T.A. del P.R.G. di Messina, trattandosi di opere private, destinate ex lege ad essere commercializzate.

È appena il caso di ribadire, sul tema, che la S.T.U. in questione prevede solo una partecipazione minoritaria del Comune.

Per quanto riguarda, ancora, l'intervento su Viale Italia (un edificio esclusivamente residenziale), l'ufficio indica la necessità di derogare all'art. 69, N.T.A. del P.R.G. « in relazione alle altezze rispetto al ciglio stradale della circonvallazione », deroga, come sopra cennato, impossibile trattandosi di un edificio per residenze ed uffici privati (considerazioni analoghe possono valere, infine, per l'intervento n.7, in gran parte residenziale).

Tutte conferme, peraltro, che le deroghe e le varianti necessarie non sarebbero limitate a « modifiche agli standard tipologici dei servizi », ma a standard edilizi e ad altri parametri edilizi non consentiti a norma dell'art.2 della Convezione.

IV/c     La deroga prevista negli atti impugnati, infine, non può essere concessa perché riguardante aree ricadenti in Z.t.o. “A”, come tale soggetta ai limiti comunque « inderogabili » previsti dagli artt. 7 e 8, D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

            Secondo la norma richiamata, infatti, « I limiti inderogabili di densità edilizia per le diverse zone territoriali omogenee sono stabiliti come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo ed altre trasformazioni conservative, le densità edilizie di zone e fondiarie non debbono superare quelle preesistenti, computate senza tener conto delle soprastrutture di epoca recente prive di valore storico-artistico;

per le eventuali nuove costruzioni ammesse, la densità fondiaria non deve superare il 50% della densità fondiaria media della zona e, in nessun caso, i 5 mc/mq. ».

            Secondo il successivo l'art.8 « Le altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): (…) per le eventuali trasformazioni o nuove costruzioni che risultino ammissibili, l'altezza massima di ogni edificio non può superare l'altezza degli edifici circostanti di carattere storico-artistico ».

            Ebbene, gli interventi progettati prevedono l'insediamento di volumetrie ed altezze di gran lunga superiori a quelle consentite dagli artt. 7 e 8, cit. Si pensi, prendendo riferimento ai dati forniti dalla stessa S.T.U., ai seguenti casi:

Intervento 2 (2bis – Allegato 16 allo Studio di Fattibilità): Costruzione di un centro commerciale a cinque elevazioni fuori terra, di mq. 8.300 (oltre a 4.980 mq. di parcheggi) su un lotto di intervento di mq. 2.000 (cfr. pag. 17 della « Relazione tecnica Allegato 2 » datata marzo 2006 allegata allo « Studio di fattibilità »).

La S.T.U. prevede l'altezza di ogni interpiano in ml. 4,70, sicché l'intervento sviluppa una volumetria di 39.000 mc. (8.300 mq. x 4,70 ml. = 39.000 mc.). Poiché l'area di intervento è di appena mq. 2.000, significa che si è utilizzato un indice fondiario pari a 19,5 (39.000./2.000 mq=19,5), ossia quasi il quadruplo di quanto sia astrattamente possibile realizzare in zona “A” secondo l'art. 7, D.M. n. 1444/1968 (50% della densità fondiaria media della zona e, comunque, non oltre 5 mc/mq). Tutto ciò, però, facendo finta di dimenticare che si ricade in zona “Sp/p” nella quale l'intervento non è in assoluto ammissibile.

            Anche l'altezza sarebbe di gran lunga superiore ai parametri indicati dall'art.8, D.M. n. 1444/1968. Tutto ciò, senza tener conto dei parcheggi.

Intervento 5 (Allegato 19 allo Studio di Fattibilità): costruzione di un edificio a dodici elevazioni fuori terra, oltre a due interrati destinati a parcheggio, per uffici in Viale Cadorna, previa demolizione dell'esistente, di 6.400 mq., su un'area di intervento di 1.110 mq. (pag. 18 della « Relazione tecnica Allegato 2 » cit.), oltre a 1.700 mq. di parcheggi.

In questo caso la S.T.U. indica nella scheda tecnica (Allegato 19) una volumetria di 19.800 mc. Poiché l'area di intervento è di 1.110 mq., significa che si è utilizzato un indice fondiario di 18,00 mc./mq. circa (19.800/1110mq.=18,00), ossia più del triplo di quanto astrattamente possibile realizzare in zona “A” secondo l'art. 7, D.M. n. 1444/1968 (50% della densità fondiaria media della zona e, comunque, non oltre 5mc/mq).

            Anche l'altezza sarebbe di gran lunga superiore ai parametri indicati dall'art.8. D.M. n. 1444/1968 e, ancora una volta, senza tener conto dei parcheggi e del vincolo di rispetto del cono ottico dalla strada Circonvallazione (art. 69 N.T.A.)

Intervento 7 (Allegato 21 allo Studio di Fattibilità): costruzione di un edificio residenziale in Via S. Maria del Selciato, previa demolizione dell'esistente, a otto elevazioni fuori terra, oltre due interrati a parcheggio di 3.382 mq., su un'area di intervento di 1.543 mq. (pag. 18 della « Relazione tecnica Allegato 2 » cit.), oltre a 1.636 mq. di parcheggi.

Anche in questo caso la S.T.U. indica (Allegato 21) una volumetria di 11.510 mc. Poiché l'area di intervento è di 1.543 mq., significa che si è utilizzato un indice fondiario di 7,50 circa (11.510/1.543mq.=7,459), ancora più di quanto sia astrattamente possibile realizzare in zona “A” secondo l'art. 7, D.M. n. 1444/1968 (50% della densità fondiaria media della zona e, comunque, non oltre 5mc/mq).

            Analogo discorso vale per l'altezza che sarebbe di gran lunga superiore ai parametri indicati dall'art.8. D.M. n. 1444/1968.

Come sempre, senza tener conto dei parcheggi. 

            A tali rilievi, è facile immaginare, le controparti proveranno a rispondere che, trattandosi (in qualche caso) di edifici a destinazione mista (residenziale e per uffici pubblici) il volume va computato solo in riferimento alle parti con destinazione residenziale e non anche per le altre per le quali, invece, sarebbe possibile la deroga ai limiti di altezza e densità a norma dell'art. 66, secondo comma, N.T.A. del P.R.G. di Messina.

            L'assunto non è accettabile. Innanzitutto è possibile insediare volumi solo nei lotti liberi e quelli presi in condierazione non lo sono.

Inoltre, come il caso di specie palesa, seguendo tale ragionamento si otterrebbe l'aberrante risultato di collocare in verticale sulla stessa area due diverse ed eterogenee tipologie edilizie, utilizzando (anzi, sommando) da una parte la possibilità di sviluppare (in deroga al P.R.G.) fino a 5 mc./mq. di residenze, dall'altra quella di derogare anche ai limiti di altezza e di densità edilizia per le opere di urbanizzazione prevista dall'art. 66, secondo comma, delle N.T.A. del P.R.G. di Messina.

            Evidente lo sviamento in cui si cadrebbe in tal modo, perché le norme venute in rilievo nel caso sono tutte volte a preservare le caratteristiche urbane e architettoniche delle zone “A”, non a stravolgerle, assommando verticalmente negli stessi siti opere diverse, con la conseguenza di consentire la realizzazione di autentici grattacieli (perché tale è un edificio a dodici elevazioni fuori terra in una Città che non ne conosce a più di sei) proprio nei contesti urbani più pregevoli perché portatori delle più rare memorie urbane.

            Peraltro, è anche evidente che l'art. 66, secondo comma, N.T.A. prevede la possibilità di derogare, quanto ad altezza e densità edilizia, nella realizzazione delle opere di urbanizzazione pubblica, ma sempre nei limiti consentiti dall'ordinamento (ossia, dall'Art. 7, D.M. n. 1444/1968) al quale, per il principio della gerarchia delle fonti, non può certo derogare una norma di attuazione di un P.R.G.. Così, ad esempio, la deroga ex art. 66 N.T.A., può consentire nelle zone “A3” del P.R.G. di Messina, nelle quali è consentito soltanto l'indice di 3,00 mc./mq., di edificare opere di urbanizzazioni secondarie fino al maggior limite di 5 mc./mq. ex art.7, D.M. n. 1444/1968, ma, sicuramente non di superare il limite previsto in generale dal D.M.

            Chiarisce l'art. 14, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, platealmente violato nel caso che ci occupa, che « 1. Il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali è rilasciato esclusivamente per edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490, e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia.

2. (…).

3. La deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, può riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 ».

            D'altronde, che non sia possibile derogare alle prescrizioni del P.R.G. fino a stravolgerlo è principio da tempo acquisito in giurisprudenza:

« L'art. 7 D.M. 2 aprile 1968, secondo cui per le operazioni di risanamento conservativo e altre trasformazioni conservative, nella zona A del centro storico, le densità edilizie di zona e fondiarie non possono superare quelle preesistenti, non consente che, mediante un'interpretazione estensiva, si possano considerare compatibili con gli standard stabiliti dagli strumenti edilizi sia pure limitati aumenti di cubatura finalizzati al risanamento igienico-sanitario di vecchi edifici, essendo pacifico che per “densità fondiaria” si deve intendere il rapporto tra volume in mc dell'edifico e area edificabile del lotto » (C.d.S., Sez. V, 20 maggio 1977, n. 459);

« Le disposizioni del D.M. 2 aprile 1968, sono applicabili – in base alla precisione di esse fatta dall'art.41-quinquies l. 17 agosto 1942 n. 1150 – in tutti i comuni ai fini dell'adozione di nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti e, in base a quanto disposto dalla detta norma, sono inderogabili, anche in presenza di esigenze sanitarie e di migliore inserimento ambientale » (così T.A.R. Emilia-Romagna, 12 febbraio 1976, n. 78);

« In base all'art. 41 quater l. 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dall'art. 16 l. 6 agosto 1967 n. 765, possono essere rilasciate concessioni in deroga alle previsioni di piano limitatamente ai casi di edifici e impianti pubblici o di interesse pubblico e sempre con l'osservanza dell'art. 3 l. 21 dicembre 1955 n. 1357; tali norme devono comunque essere interpretate restrittivamente, nel senso cioè che le deroghe al p.r.g. non possono travolgere le esigenze di ordine urbanistico a suo tempo recepite nel piano e nel senso che non possono costituire oggetto di deroga le destinazioni di zona che attengono all'impostazione stessa del piano regolatore generale e ne costituiscono le norme direttrici » (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 20 dicembre 2004, n. 6486; nello stesso senso C.d.S., sez. IV, 01 ottobre 1997, n. 1057; 02 aprile 1996, n. 439).

            « Il rilascio di una concessione edilizia in deroga è ammissibile solo nei limiti in cui essa non pregiudichi in termini significativi gli standard urbanistici, compresi quelli relativi alle aree destinate a parcheggio » (Così Consiglio Stato , sez. V, 11 gennaio 2006, n. 46).

            In tal senso, ancorché in via gradata e solo per scrupolo difensivo, occorre impugnare in questa sede in parte qua, anche l'art. 66 delle N.T.A. del P.R.G. di Messina e, quindi, il D.D. 2 settembre 2002, n. 686, contenente la « Approvazione del piano regolatore generale, delle prescrizioni esecutive e del regolamento edilizio del Comune di Messina ». Se, infatti, l'On.le Collegio ritenesse che dall'art.66 N.T.A. si dovesse trarre l'interpretazione qui avversata, se ne dovrebbe dedurne l'illegittimità per contrasto con gli artt. 7 e 8 D.M. n. 1444/1968 per i motivi sopra dedotti e, conseguentemente, pronunziarne l'annullamento.

V – Violazione e falsa applicazione artt. 30 e 31 N.T.A. del P.R.G. di Messina.

            Tra destinazioni d'uso ammissibili nelle zone “A” del P.R.G. di Messina, previste dall'art.31 delle N.T.A. che rinvia all'art. 30, vi è, ovviamente quelle residenziale. L'art. 30 chiarisce che « La destinazione residenziale, qualora non esplicitamente e diversamente specificato nelle norme delle singole zone, si intende comprensiva delle attività commerciali relative agli esercizi di vicinato, delle medie strutture di vendita, dei centri commerciali locali urbani e dei medi centri commerciali (ad esclusione delle grandi strutture di vendita e dei grandi centri commerciali di cui all'art. 3 e all'4 del D.P.R.S. 11/07/2000) ».

            L'intervento 2bis, ossia la « Costruzione di un centro commerciale a cinque elevazioni fuori terra » è pertanto incompatibile con la destinazione di zona perché di dimensioni tali da dover essere ricompresso tra le « Grandi strutture di vendita » ai sensi dell'D.P.R.S. 11 luglio 2000 (in G.U.R.S. n. 35 del 28 luglio 2000)

Secondo quanto indicato dalla stessa S.T.U., il Centro commerciale sviluppa una superficie utile di mq. 8.300 (oltre a 4.980 mq. di parcheggi) su un lotto di intervento di mq. 2.000 (cfr. pag. 17 della « Relazione tecnica Allegato 2 » datata “marzo 2006” allegata allo « Studio di fattibilità »).

Orbene, a norma dell'art. 3 del D.P.R.S. 11 luglio 2000, nei comuni con popolazione residente superiore a 100.000 abitanti (Messina ne ha più di 250.000) sono considerate « Grandi strutture di vendita » gli esercizi commerciali di superficie superiore a 1.500 mq. e fino a 5.000. Quelle di superficie ancora superiore (come il Centro commerciale in progetto) rientrano tra le « Grandi strutture di vendita di livello superiore ».

Non è, pertanto, possibile realizzare l'intervento in programma nelle zone “A”.

VI – Eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà e dello sviamento. Eccesso di potere sotto il profilo della mancanza dei presupposti e della violazione della Circolare della Presidenza della Regione 2 settembre 1999, n. 1/V (in G.U.R.S. 10 settembre 1999, n. 43).

            Incomprensibile, incompleto ed illegittimo è il procedimento seguito per l'approvazione degli atti (studio di fattibilità) posti in essere dalla S.T.U. sotto il profilo urbanistico. In particolare, non è dato evincere quale sia stato l'esito della conferenza dei servizi appositamente costituita. Sicuramente, non l'approvazione degli atti.

            Al punto “4.” della “Relazione illustrativa delle modifiche attuative del PRG” annesso allo Studio di fattibilità  approvato dal Consiglio comunale con la delibera n. 15/c/2006 si illustra l'iter amministrativo che sarebbe stato seguito per approvare gli atti occorrenti alla realizzazione dell'intervento oggetto della S.T.U.  Sulla base della Circolare della Presidenza della Regione 2 settembre 1999, n. 1/V (in G.U.R.S. n. 43 del 10 settembre 1999), si dichiara di voler fare ricorso all'istituto dell' “Accordo di programma” “che comportano anche varianti agli strumenti urbanistici” come disciplinato dall'art.1, lett. e), L.r. 11 dicembre 1991, n. 48. Si prevede la sottoscrizione di uno « schema di accordo di programma tra le amministrazioni interessate ». « L'accordo approvato comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere (comma 2, art. 36, legge regionale n. 30/97, artt. 1 e 4, legge regionale n. 35/78) ».

            La procedura è stata attivata e la Conferenza dei servizi si è riunita, come sopra accennato, nei giorni 3 e 16 ottobre 2006 presso la Presidenza della Regione siciliana su richiesta del Comune per “la definizione di un accordo di programma finalizzato allo snellimento delle procedure di approvazione delle varianti urbanistiche previste nell'intervento in oggetto”. Il 2 ottobre si acquisivano i pareri favorevoli, a condizione, della Soprintendenza e dell'Ufficio del Genio civile di Messina. In particolare, la Soprintendenza prescriveva il trasferimento in altro sito dell'intervento n. 6 – « la prevista volumetria sull'edificio “Palazzo degli elefanti” (intervento 6 Edificio per Uffici in via Martino) venga proposta altrove in quanto danneggerebbe la pregevole qualità urbanistica costituita da tale edificio, unico di epoca ottocentesca, dalla Chiesa del Carmine e da Palazzo Piacentini » – . A seguito di tale richiesta il rappresentante della S.T.U. presentava, seduta stante, « una proposta di variante che viene assunta agli atti ». A questo punto il Comune chiedeva un rinvio per approfondire la questione e « avendo verificato l'impossibilità di acquisire nel corso della riunione un parere formale sulla proposta di variante presentata da parte dei soggetti preposti – Soprintendenza per i BB.CC. ed AA. e Genio civile di Messina – i presenti concordano di fissare la prossima riunione per il giorno 16 ottobre 2006 (…) al fine di procedere all'analisi e all'approfondimento della proposta progettuale ». Nella riunione del 16 successivo, il rappresentante del Comune esprimeva parere favorevole, illustrando, altresì, anche su richiesta del rappresentante della Soprintendenza, l'iter che intendeva seguire per approvare gli atti di sua competenza in Consiglio comunale.

            Il verbale allegato agli atti del procedimento, però, non reca nessuna firma di sottoscrizione né l'attestazione della conformità all'originale né il rinvio all'originale sicché deve ritenersi nullo-inesistente.

            Pertanto, pur mancando l'approvazione da parte della Conferenza dei servizi, nella stessa data il Consiglio comunale, con deliberazione n. 77/c, dopo aver richiamato i precedenti passaggi procedimentali, deliberava egualmente di « prendere atto delle variazioni allo studio di fattibilità della Società di Trasformazione Urbana “Il Tirone” e, conseguentemente, alle “Linee guida del piano industriale” ».

            Ad oggi, dunque, l'accordo di programma non può dirsi approvato, con la conseguente invalidità di tutti gli atti successivamente posti in essere.

VII – Violazione e falsa applicazione art. 107, D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 e D. Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, Art.1, lett. h), L.r. 11 dicembre 1991, n. 48. Incompetenza.

            Com'è noto, uniformandosi ad un autentico principio generale dell'organizzazione della pubblica amministrazione, anche il D. Lgs. n. 267/2000 distingue nettamente i compiti di indirizzo e controllo politico-amministrativo (di spettanza degli organi elettivi) da quelli gestionali, di competenza della struttura dirigenziale (in Sicilia vedi anche l'art. 1, lett. h, L.r. n. 48/1991 di recepimento dell'art. 51, L. 8 giugno 1990, n. 142).

            In particolare, a norma dell'art. 107, D. Lgs. n. 267/2000 (art. 51, L. n. 142/90, art. 1, Lett. h). L.r. n. 48/91), « spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri e le norme dettati dagli statuti e dai regolamenti. Questi si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica è attribuita ai dirigenti mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.

Spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale, di cui rispettivamente agli articoli 97 e 108.

3. Sono attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi, tra i quali in particolare, secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell'ente: (…)

c) la stipulazione dei contratti ».

            Ebbene, in plateale violazione di tale norma, la delibera consiliare 6 agosto 2004, n. 56/C, nell'approvare la stipulanda convenzione con la S.T.U. “Il Tirone” S.P.A., autorizzava il Commissario straordinario (e non il dirigente competente) alla sottoscrizione della stessa e, in modo egualmente illegittimo, il Commissario (che suppliva alle funzioni del Sindaco) sottoscriveva la Convenzione il 29 ottobre 2004.

            Indiscutibili, dunque, i vizi degli atti richiamati e, in via derivata, di tutti quelli successivi della sequela procedimentale.

VIII – Violazione e falsa applicazione art. 120, commi 2 e 3 D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Eccesso di potere sotto il profilo della disparità di trattamento. Difetto di motivazione.

            Secondo la norma sopra calendata, « Le società di trasformazione urbana provvedono alla preventiva acquisizione delle aree interessate dall'intervento, alla trasformazione e alla commercializzazione delle stesse. Le acquisizioni possono avvenire consensualmente o tramite ricorso alle procedure di esproprio da parte del comune ». Non è prevista discrezionalità né margini di diverso comportamento.

            Dalla lettura dell'avviso pubblicato il 22 marzo 2008, nonché dalla Tavola delle Acquisizioni elaborata dalla S.T.U., si evince, però, che il procedimento di dichiarazione di pubblica utilità preordinato all'esproprio riguarda soltanto alcuni immobili (ad esempio, quelli degli odierni ricorrenti), ma non tutti quelli ricompresi nel perimetro dell'intervento di trasformazione urbana.

            Risulta così violato l'art. 120 cit., che prevede l'acquisizione di tutti gli immobili dentro il perimetro individuato in sede di costituzione della S.T.U., nonché il criterio di imparzialità per l'evidente e ingiustificata disparità di trattamento che viene operata a danno dei ricorrenti che, senza motivazione alcuna, subirebbero l'espropriazione delle rispettive proprietà pur trovandosi nelle identiche situazioni giuridiche e di fatto di altri, più fortunati proprietari. La legge (art. 120, D. Lgs. n. 267/2000), infatti, rende obbligatoria l'acquisizione degli immobili, lasciando alla discrezionalità solo il modo di acquisto della proprietà, se a mezzo cessioni volontarie procedure espropriative curate dai Comuni.

Conferma di tale meccanismo è, inoltre, la circostanza che gli immobili ricompresi nella perimetrazione dell'area oggetto della S.T.U. comporta la dichiarazione di pubblica utilità delle opere, sicché  è inevitabile che si proceda all'acquisizione nel patrimonio societario di tutto il compendio urbano individuato.

In proposito, ha recentemente affermato il Consiglio di Stato (Sez. IV, 31 dicembre 2007, n. 6799) che « Ed invero, in disparte, siccome ininfluente ai fini di causa, la questione se nella specie possa concretamente configurarsi l'efficacia di dichiarazione di pubblica utilità, anche per le aree non interessate da opere pubbliche, in asserita mancanza di una precisa individuazione dell'intervento di trasformazione previsto – che la normativa di riferimento, peraltro, attribuisce direttamente alla sola delibera di perimetrazione (cfr. art. 17, comma 59, legge 127 cit., ora art. 120 D.Lgs 267/00) – certo è che dall'individuazione delle aree di trasformazione urbana ex art. 17 discende comunque l'immediato e autonomo effetto di privare i proprietari delle aree interessate dalla perimetrazione della possibilità di realizzare iniziative di edilizia privata sulle aree stesse, essendo ogni intervento riservato ex lege esclusivamente alla società di trasformazione urbana » (così testualmente). Risulta confermato, quindi, che per il semplice fatto di rientrare nella perimetrazione, la titolarità ad eseguire qualsiasi intervento è della S.T.U., con il conseguente obbligo di espropriare tutti gli immobili interessati.

Peraltro, nel  caso dei ricorrenti la disparità di trattamento balza ancora più evidente ove si consideri che, lungo la stessa strada, alcune abitazioni vengono espropriate (quelle dei ricorrenti) ed altre, con simili caratteristiche e collocate nella stessa zona urbana, inspiegabilmente lasciate ai legittimi proprietari.

La S.T.U. in poche parola, fa shopping espropriativo all'interno del perimetro. Sceglie le case che più le piacciono (“questa si, questa no, quella dopo!”), le espropria e caccia i proprietari. Tutto ciò, non per realizzare opere pubbliche, ma semplicemente per rivenderle o affittarle sul libero mercato.

Addirittura, l'edificio contraddistinto al N.C.E.U. al Fg. 224, p.lla 59 è diviso a metà: una parte viene espropriata; l'altra, misteriosamente, no e tutto ciò senza che in nessun atto sia possibile evincere la motivazione di siffatto modo di procedere!

IX – Eccesso di potere sotto il profilo della contraddittorietà. Difetto di motivazione.

            a) Nel « Disciplinare per la selezione » allegato al bando di gara è indicato, tra gli allegati del procedimento (art.8) l'«Allegato D: schema di convenzione » ed effettivamente si rinviene uno schema di convenzione.

            Sulla base (anche) di tale documento i concorrenti hanno partecipato (o meglio, non hanno partecipato tranne uno) alla gara ed hanno formulato le proprie offerte. Tuttavia, la Convenzione poi sottoscritta dal Comune e dalla S.T.U. il 29 ottobre 2004 è integralmente diversa dallo schema allegato al bando. Tutti gli articoli di cui si compongono i due documenti sono diversi: lo schema reca 7 articoli; la Convenzione del 29 ottobre 2004 ben 19 e non mette davvero conto specificare le singole differenze perché troppo evidenti. Si tratta di due documenti diversi ed il secondo non rispecchia le condizioni per la partecipazione alla gara.

            D'altronde, la deliberazione 6 agosto 2004, n. 56/c, con la quale è stato approvato dal Consiglio comunale lo schema di convenzione ed autorizzato il Commissario alla sottoscrizione nulla motiva circa le ragioni della diversità tra il testo della Convenzione mandato in gara e quello effettivamente firmato.

            Si tratta, dunque, di atti sicuramente illegittimi, tali da inficiare l'intera procedura.

            b) Secondo quanto risulta (pur in carenza degli atti integrali di gara, dei quali si è avuto solo accesso parziale) l'offerta presentata in gara non contemplava la realizzazione del Centro commerciale (inserito, infatti) solo successivamente nelle previsioni progettuali.

            Tale circostanza costituisce vizio del procedimento, non soltanto perché sono mutate le condizioni dell'aggiudicazione, ma perché l'art. 2 della Convenzione del 29 ottobre 2004 “la Società Tirone (…) si impegna a predisporre piano industriale e cronoprogramma degli interventi secondo la proposta progettuale presentata dai soci privati.

            Ciò non è avvenuto proprio perché il centro commerciale non era previsto nell'originaria proposta offerta in sede di gara, sicché il  procedimento va censurato anche sotto tale profilo.

X – Violazione e falsa applicazione art.10, Convenzione stipulata il 29 ottobre 2004 e art. 6, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. Incompetenza.

            Secondo l'art. 10 della Convezione il Comune delega il compimento di tutti gli atti espropriativi alla S.T.U. “Il Tirone”, ai sensi dell'art. 6, comma 8, D.P.R. n. 327/2001. Aggiunge il comma successivo che « la superiore delega che dovrà essere citata in tutti gli atti del procedimento, deve intendersi totale e pertanto, i predetti atti compreso il decreto di esproprio dovranno essere emanati dalla società delegata ».

            Violando tale prescrizione, l'avviso pubblicato sulla “Gazzetta del Sud” del 22 marzo 2008 ed il relativo manifesto (qui impugnati) sono stati curati dal comune e non dalla Società. L'avviso è intestato « Municipio di Messina – Area Coordinamento urbanistica – Dipartimento Pianificazione urbanistica – Polo catastale – SIT » e reca in calce le firme del R.U.P. e del Dirigente del Dipartimento. In detto avviso e nel relativo manifesto, non si fa neppure menzione della delega e, quindi, si viola platealmente il corretto riparto delle competenze così come previsto in Convenzione.

XI – Violazione e falsa applicazione art.68 Statuto del Comune di Messina.

Secondo la norma statutaria, il parere dei Consigli circoscrizionali è obbligatorio « C) sul piano regolatore e sul programma di fabbricazione; sui piani particolareggiati e di zona; sulle convenzioni urbanistiche e in particolare sulle opere di urbanizzazione, sulla localizzazione di uffici destinati a servizi sociali riguardanti la circoscrizione; ».

Gli atti deliberativi impugnati con il presente ricorso sono stati adottati senza aver chiesto il parere della Circoscrizione competente (fino a dicembre 2005 la VII; dopo, a causa delle riorganizzazione degli organi di decentramento infracomunale, la IV). In particolare, il parere della Circoscrizione non risulta né acquisito, né tantomeno chiesto, in riferimento alla delibera del Consiglio comunale 30 ottobre 2001, n. 73/C  avente ad oggetto “Costituzione di una Società di trasformazione Urbana a prevalente capitale privato ex art. 120 del D.lgs. 18 agosto 2000. n. 267 »; alla delibera del Consiglio comunale 6 agosto 2004, n. 56/c, avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “Il Tirone”. Approvazione »; alla Delibera commissariale 14 luglio 2005, n. 687 avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “Il Tirone”. Approvazione studio di fattibilità »; alla delibera del Consiglio comunale 24 marzo 2006, n. 15/C avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “il Tirone”. Approvazione “linee guida del piano industriale »; alla delibera del Consiglio comunale 16 ottobre 2006, n. 77/c, avente ad oggetto « Società di trasformazione urbana “Il Tirone”. Variazioni conseguenti al parere della Soprintendenza dei Beni culturali ed ambientali di Messina »

            Il ruolo del Consiglio circoscrizionale, pertanto, pur trattandosi di provvedimenti in materia urbanistica concernenti un piano di attuazione del P.R.G. di Messina e convenzioni urbanistiche (cfr. la Convenzione stipulata il 29 ottobre 2004), è stato del tutto pretermesso, con la conseguente violazione di quanto disposto dall'art. 68 dello Statuto comunale.

            Non resta che annullare, anche per tale circostanza, i provvedimenti impugnati.

XII – Violazione e falsa applicazione art.11, D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.

L'avviso del 22 marzo 2008 è stato diffuso sulla stampa locale ma non risulta anche nel sito della Regione, così come prescrive l'art. 11 richiamato in epigrafe.

Poiché il sito istituzionale della Regione Sicilia esiste ed è operativo (www.regione.sicilia.it) il procedimento seguito è, anche sotto tale profilo, illegittimo.

XIII – Violazione e falsa applicazione art.21 Septies, L. 7 agosto 1990, n. 241. Nullità per carenza di elementi essenziali degli atti. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento. Violazione e falsa applicazione L. n. 109/1994.

            I provvedimenti impugnati sono illegittimi, in specie gli atti di gara, la Convenzione con il Comune del 29 ottobre 2004 e le linee guida del Piano industriale, tanto da giungere ad attingere la categoria della nullità radicale e insanabile, perché carenti dell'oggetto e di qualsiasi potere legittimante.

            Il bando di gara pubblicato dal Comune a seguito della delibera consiliare 30 ottobre 2001, n. 73/C, di costituzione della S.T.U. (ed ancora consultabile, insieme al disciplinare, nel sito istituzionale del  Comune all'indirizzo www.comune.messina.it), riguardava soltanto il « Servizio da affidare alla società: acquisizione di aree, progettazione e realizzazione di interventi di trasformazione urbana, commercializzazione ». Com'è agevole notare, si parla soltanto di « Servizio » e, genericamente di « trasformazione urbana », nulla si dice espressamente in ordine all'affidamento dei lavori da compiere per realizzare la « trasformazione » progettata.

            I « Criteri per la scelta dei soci », ossia per aggiudicare la gara sono così indicati nel bando:  « presentazione di candidature congiunte da parte di più soggetti che prevedano complementarietà ed integrazione delle diverse componenti necessarie alla compagine sociale punti 40 – Presentazione di progetti comuni di utilizzo delle aree individuate punti 25 – Merito tecnico, da dimostrare attraverso la presentazione di curricula, per interventi eseguiti e/o esperienze maturate in settori attinenti a quello che costituisce oggetto della selezione punti 15 – Previsione di insediamenti integrati e/o connessi con le strutture e le funzioni previste per l'area punti 10 – Proposte e/o ipotesi di project financing punti 10 ». Nulla, sorprendentemente, si prevede per ribassi sia sui servizi tecnici (progettazioni urbanistiche ed edilizie, direzioni lavori, etc.), né tantomeno sui lavori (i quali, d'altronde, non dovrebbero costituire oggetto della gara).

            All'art. 5 del « Disciplinare per la selezione », intitolato « Servizio da affidare alla costituenda società » si legge, però, che « Alla Società verrà demandata: a) (…); b) la trasformazione urbana mediante urbanizzazione dell'area e realizzazione delle previste strutture di proprietà del Comune o, su commessa, di privati o altri enti pubblici ». Segue, al punto successivo, la specificazione dei servizi da affidare: « 2. La costituenda S.p.A., in particolare, dovrà provvedere: (…) j) Alla esecuzione dei lavori diretta e/o mediante affidamento anche parziale » .

Contrariamente a quanto affermato e dichiarato, quindi, l'oggetto (quantomeno principale) della gara non è né la selezione del partner per la costituzione della Società, né l'affidamento dei servizi tecnici, ma la realizzazione delle opere previste negli interventi descritti per un importo superiore a 100.000.000,00 di €. Quello di cui si tratta è, quindi, un vero e proprio appalto di opere, affidato, però, senza applicare la legge per tale tipo di gara, ma soltanto quella per l'appalto di servizi.

            Nella Convenzione del 29 ottobre 2004, inoltre, si afferma che la STU dovrà curare tutte le progettazioni, anche esecutive, « delle opere pubbliche che a seguito dell'approvazione del piano industriale e degli atti di pianificazione urbanistica il Consiglio comunale individuerà coerenti con la proposta della società secondo le procedure e modalità di cui ai successivi articoli; acquisire, espropriare, urbanizzare e commercializzare le aree individuate nel programma degli interventi che sarà approvato dal Consiglio comunale». Ancora non si parla espressamente dell'affidamento dell'appalto per la realizzazione delle opere ma, solo genericamente, di « urbanizzare (…) le aree ».

            Nelle « Linee guida del piano industriale » dell'ottobre 2006 (approvato con le delibere 24 marzo 2006, n. 15/c e 16 ottobre 2006, n. 77/c), però, si specificano gli interventi da attuare e, senza alcun computo metrico, alcun progetto preliminare, si indicano gli importi degli interventi come segue (in milioni di euro):

1a, 1b POLO SCOLASTICO; PARCHEGGIO                                         41,36

2BIS CENTRO COMMERCIALE                                                            10,35

3 RIQUALIFICAZIONE URBANA TESSUTO STORICO DEL BORGO DEL TIRONE                                                                                    4,12

4 RIQUALIFICAZIONE URBANA TESSUTO BORGO STORICO SCALINATA S. BARBARA                                                              5,24

5 BIS EDIFICIO PER UFFICI VIALE CADORNA (15 PIANI F.T.)       11,00

6 BIS RESTAURO DI PALAZZO DEGLI ELEFANTI 0,80

7 EDIFICIO RESIDENZIALE VIA S. MARIA DEL SELCIATO               5,85

8TER EDILIZIA RESIDENZIALE VIALE ITALIA                      14,44

9 ARREDO P.ZZA DEL POPOLO – INTERVENTI STRADALI               8,25

10BIS EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA                                          4,38

Per un totale, quindi, di € 105,79  milioni.

Nel testo del Piano non si afferma esplicitamente chi dovrà realizzare le opere (le progettazioni, spettano secondo la Convenzione alla S.T.U.), ma si utilizzano forme sintattiche impersonali che appare verosimile leggere nel senso che anche i lavori spetteranno alla stessa Società, tanto più che così espressamente recita il disciplinare di gara (art. 5, cit.). Così, ad esempio si afferma che « Il Polo Scolastico i parcheggi e le aree di pertinenza, saranno interamente pubblici, si realizzeranno tramite un contratto di fornitura “Chiavi in mano” delle opere e saranno pagati dal Comune di Messina con acconti da versare proporzionalmente all'avanzamento dei lavori »; Analogamente « Il Centro Commerciale si realizzerà mediante un contratto di fornitura “chiavi in mano” con i commercianti acquirenti. Il pagamento avverrà con acconti da versare proporzionalmente all'avanzamento dei lavori ».

Nel paragrafo intitolato « Opere pubbliche », inoltre, si prevede la realizzazione di opere di « urbanizzazione », per l'importo di 8,25 milioni di €, di sicura competenza (anche a norma della Convenzione) della Società: «Ristrutturazione della Galleria Santa Marta mediante rifacimento dei rivestimenti, realizzazione della pavimentazione, degli impianti di smaltimento acque, illuminazione, ventilazione, etc.. Ristrutturazione dei tratti di attacco alla galleria (ingressi) nelle vie S. Marta e Protonotaro con realizzazione della pavimentazione, dei sottoservizi, dell'impiantistica, etc. Ristrutturazione della circolazione connessa all'apertura del transito nella Galleria mediante realizzazione di sensi unici, realizzazione di incroci semaforizzati. Realizzazione di area pedonale a Piazza del Popolo, rifacimento delle pavimentazioni, sottoservizi, illuminazione ed impiantistica. Opere di manutenzione ed arredo nell'area del Tirone ».

Due rilievi immediati:

a) Trattandosi di un vero e proprio appalto di opere, l'oggetto dell'affidamento è talmente generico da potersi considerare inesistente. In mancanza di progetti e dei correlativi computi metrici, non sono specificate le tipologie e le quantità delle opere da realizzare. Non si capisce, per fare solo qualche esempio riferito alle opere richiamate sopra, con quali materiali saranno realizzati i rivestimenti (pregiati marmi o malte cementizie?); per quali superfici; che tipo di sottoservizi si collocheranno sotto la Galleria Santa Marta; saranno solo servizi elettrici, fognari, o anche telefonici e con che tipo di cablaggi (ad es., mediante doppino di rame o fibra ottica)? Per non parlare di tutti gli edifici e le altre opere previste, apoditticamente indicate nell'importo complessivo, ma senza alcuna specifica quanti-qualitativa.

Per la realizzazione di tutte le opere, non è espresso alcun ribasso (su cosa poi? Su quale progetto?). Dagli atti di gara e da tutto il procedimento nulla si conosce di più dell'appalto di opere, se non che gli interventi edili saranno eseguiti dalla Società (con il Comune mero socio minoritario di capitali, finanziatore con contributi pubblici e sicuro acquirente), e che costeranno oltre 105 milioni di euro.

b) Di fatto, l'affidamento dei lavori non ha costituito oggetto della procedura di gara perché non vi è stata competizione sulle offerte né sui progetti e, quindi, è avvenuto in carenza assoluta di potere sicché è radicalmente nullo. L'art.2 dello schema di Convenzione allegato al bando di gara (diversa nel contenuto, come si è sopra dedotto, da quella poi illegittimamente sottoscritta il 29 ottobre 2004) prevedeva al punto 2 soltanto l'obbligo per la Società della « a) predisposizione delle reti necessarie alle esigenze tecnologiche degli insediamenti a tecnologia avanzata », non la realizzazione di tutte le opere di urbanizzazione come poi si è previsto nella Convenzione sottoscritta e nel Piano industriale.

Peraltro, gli atti di gara e del conseguente affidamento dei servizi e delle opere, se non sono radicalmente nulli, sono sicuramente invalidi per la mancata applicazione della normativa sugli appalti di opere e per quanto di seguito.

XIV – Violazione e falsa applicazione delle Dir. 93/37/CE 97/52/CE e 2004/18/CE e dei principi di concorrenza, trasparenza e adeguata pubblicità, non discriminazione e parità di trattamento. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento dall'interesse pubblico.

1. La convenzione sottoscritta tra il Comune di Messina e la Società è illegittima perché affida direttamente a quest'ultima lo svolgimento di diversi servizi (progettazione esecutiva, attività di esproprio prima e commercializzazione poi) e la realizzazione di lavori pubblici senza gravare la partecipata dell'onere di ricorrere al libero mercato e, dunque, di esperire pubblici incanti per la realizzazione degli stessi.

Con l'art. 2 della convenzione (rubricato “oggetto”), infatti, il Comune di Messina, spogliandosi delle proprie competenze per “il recupero della zona Tirone”, ha affidato alla S.p.a. Tirone il compito di redigere il piano particolareggiato e/o altro strumento di pianificazione urbanistica attuativo del PRG comunale, curare tutte le progettazioni esecutive delle opere pubbliche, acquisire, espropriare, urbanizzare e commercializzare le aree individuate nel programma degli interventi che sarà approvato dal Consiglio Comunale”.

A norma dell'art.5 del « Disciplinare per la selezione », « 1. Alla società di trasformazione verrà demandata: a) a preventiva acquisizione delle aree interessate dall'intervento, consensualmente o tramite ricorso alle procedure di esproprio; a) la trasformazione urbana mediante urbanizzazione dell'area e realizzazione delle previste strutture di proprietà del Comune o, su commessa, di privati o altri enti pubblici. a) la commercializzazione delle aree urbanizzate destinate ad enti pubblici e privati.

2. La costituenda S.p.A., in particolare, dovrà provvedere: a) Allo studio preliminare per l'individuazione del quadro dei bisogni e delle esigenze; b) Alla redazione di studi di fattibilità sotto il profilo tecnico-economico-giuridico; c) Alla predisposizione di tutti gli strumenti urbanistici attuativi; d) A tutte le indagini tecniche preliminari; e) Alla redazione della progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, e alla direzione dei lavori; f) A tutte le incombenze relative alla sicurezza: D.lvo 626/94 e D.lvo 494/96. g) All'ottenimento di tutte le autorizzazioni necessarie in base alla normativa vigente; h) Alla preventiva acquisizione delle aree interessate dall'intervento e alle relative prestazioni di assistenza giuridica; i) Al finanziamento con fondi propri e/o mediante la ricerca delle più idonee linee di credito; (…); k) Alla commercializzazione delle aree urbanizzate realizzate dalla società.

Quest'ultima, dunque, è stata legittimata a progettare ed appaltare lavori per oltre cento milioni di euro senza alcun vincolo di rispetto del principio di concorrenza rappresentante “uno dei basamenti della costituzione economica europea” (C.G.A., 4 settembre 2007, n. 719).

Com'è noto, negli ultimi anni, sulla scia della giurisprudenza comunitaria in materia di partenariato pubblico-privato, sono state numerose le soluzioni ricercate dalla giurisprudenza amministrativa e dal legislatore nazionale volte a bilanciare i principi di non discriminazione nella partecipazione alle procedura di evidenza pubblica e della concorrenza.

La giurisprudenza si è applicata nell'esame del fenomeno soffermandosi, in particolare, sugli affidamenti diretti dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni, elaborando una serie di principi che, da ultimo, hanno trovato l'autorevole sintesi nella decisione n. 1/2008 dell'Adunanza Plenaria.

I Giudici di Palazzo Spada, in particolare, non hanno mancato di evidenziare che “i principi generali del Trattato valgono comunque anche per i contratti e le fattispecie diverse da quelle concretamente contemplate; quali (oltre alla concessione di servizi) gli appalti sottosoglia e i contratti diversi dagli appalti tali da suscitare l'interesse concorrenziale delle imprese e dei professionisti (Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 362)” (Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1).

“Trattandosi di attività di rilevanza economica oggetto di contratto da stipulare con una pubblica amministrazione, devono sempre applicarsi le regole della Comunità europea sulla concorrenza e, in particolare, gli obblighi di parità di trattamento e di trasparenza. Si tratta dei principi del Trattato, che sono quelli di: a) libertà di stabilimento (art. 43); b) libera prestazione dei servizi (art. 49); c) parità di trattamento e divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 43 e 49); d) trasparenza e non discriminazione (art. 86, che vieta le misure di favore a vantaggio delle imprese che godono di diritti speciali o esclusivi e di quelle pubbliche).

Anche nell'ambito dei servizi pubblici deve essere assicurata l'apertura alla concorrenza (C. giust. CE: 13 settembre 2007, C-260/04; sez. I, 13 ottobre 2005, C-458/03). Ogni interessato ha diritto di avere accesso alle informazioni adeguate prima che venga attribuito un servizio pubblico, di modo che, se lo avesse desiderato, sarebbe stato in grado di manifestare il proprio interesse a conseguirlo (C. giust. CE, sez. I, 10 novembre 2005, C-29/04). Inoltre, trasparenza e pubblicità devono essere date alla notizia dell'indizione della procedura di affidamento; imparzialità o non discriminatorietà devono determinare le regole di conduzione di questa” (Ad. Plen. n. 1/08 cit.).

Non v'è dubbio, pertanto, che il rispetto del principio di concorrenza, “e di quelli che ne rappresentano attuazione e corollario, di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione e parità di trattamento” – che, peraltro, hanno trovato recepimento anche nel diritto interno (artt. 27, comma 1, 30, comma 3, e 91, comma 2, D. Lgs. n. 163/2006) – sono direttamente applicabili, a prescindere dalla ricorrenza di specifiche norme comunitarie o interne e in modo prevalente su eventuali disposizioni interne di segno contrario (Cons. Stato, Sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 362; 30 dicembre 2005, n. 7616; 25 gennaio 2005, n. 168)” e, alla stregua della comunicazione della Commissione Europea del 12 aprile 2000 (richiamata e sviluppata da una circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri-dipartimento per le politiche comunitarie n. 945 in data 1° marzo 2002), applicabili anche nel caso che ci occupa in quanto dettati in via diretta e self-executing dal Trattato, anche alle fattispecie non interessate da specifiche disposizioni comunitarie volte a dare la stura a una procedura competitiva puntualmente regolata (Ad. Plen. n. 1/08 cit.).

2. Né, d'altra parte, è sufficiente per garantire il rispetto dei principi sopra richiamati il previo esperimento a monte della pubblica gara per l'individuazione del partner privato.

La partecipazione assolutamente minoritaria del socio pubblico, infatti, elimina in radice la possibilità di un (ri)affidamento diretto alla partecipata. È oramai pacifico, infatti, che “la sussistenza del controllo analogo viene esclusa in presenza di una compagine societaria composta anche da capitale privato, essendo necessaria la partecipazione pubblica totalitaria. Infatti, la partecipazione (pure minoritaria) di un'impresa privata al capitale di una società, alla quale partecipi anche l'amministrazione aggiudicatrice, esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa svolge sui propri servizi [C. giust. CE: sez. II, 19 aprile 2007, C-295/05, Asociaciòn de Empresas Forestales c. Transformaciòn Agraria SA (TRASGA); 21 luglio 2005, C-231/03, Consorzio Corame; 11 gennaio 2005, C-26/03, Stadt Halle]. Occorre, quindi, che l'ente possegga l'intero pacchetto azionario della società affidataria” (Cons. Stato, Sez. V, 13 luglio 2006, n. 4440; in precedenza 22 dicembre 2005, n. 7345 aveva ritenuto che la quota pubblica dovesse essere comunque superiore al 99%).

3. Come se non bastasse, inoltre, nel caso di specie, difetta almeno un altro elemento per consentire che, con la scelta del socio, si possa definire anche l'affidamento del servizio operativo dovendo ricorrere “una sostanziale equiparazione tra gara per l'affidamento del servizio pubblico e gara per la scelta del socio” (Ad. Plen. n. 1/08 cit.).

Nel caso che ci occupa, come si è già avuto modo di illustrare con il precedente motivo di ricorso, viceversa, in sede di gara per la scelta del socio privato, il servizio operativo era stato solo genericamente definito tantoché, l'art. 2 della Convenzione, dispone che “la Società Tirone (…) si impegna a predisporre piano industriale e cronoprogramma degli interventi secondo la proposta progettuale presentata dai soci privati. Saranno i soci privati, a S.T.U. già fondata, perché costituenti la maggioranza del capitale sociale, dunque, a dirigere l'intervento di trasformazione urbana.

Lo studio di fattibilità (già costato € 361.520,00), le progettazioni esecutive, i servizi di espropriazione e, in seguito di commercializzazione, in altre parole, non possono essere gestite “in house” dalla S.t.u. ma, a differenza di quanto illegittimamente disposto dalla convenzione, vanno, necessarie affidate con procedure ad evidenza pubblica.

Allo stato, illegittimamente la S.T.U. ha svolto lo studio di fattibilità e le linee guida al Piano industriale (ma, come si osservava sopra, è illegittima tutta la Convenzione del 29 ottobre 2004, e l'oggetto stesso della gara per la selezione del socio privato).

Ciò solo basterebbe per ritenere illegittima la convenzione e l'intera procedura.

XV – Violazione e falsa applicazione delle Dir. 93/37/CE 97/52/CE e 2004/18/CE e dei principi di concorrenza, trasparenza e adeguata pubblicità, non discriminazione e parità di trattamento. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento dall'interesse pubblico.

La circostanza che la convenzione affidi alla S.T.U. anche il compito di urbanizzare e costruire immobili nell'area di interesse, riconoscendogli espressamente (art.5 del Disciplinare allegato al Bando di Gara) l'appalto per lavori per decine di milioni di euro (€ 105.790.000 cfr. linee guida del piano industriale), è elemento dirimente ai fini della declaratoria di illegittimità (perché in contrasto con le Direttive in tema di aggiudicazione di lavori nn. 93/37 ora sostituita dalla 2004/18 e 97/52 CEE) della convenzione.

La Corte di Giustizia Europea (sentenza 18 gennaio 2007, causa C-220/05, Jean Aurox e a. c/ Comune de Roanne) è stata da ultimo investita della questione relativa alle S.T.U. ed ha affrontato il tema della natura giuridica delle stesse e dei lavori da esse realizzate. L'occasione ha preso le mosse da un caso francese (la Francia, il paese-madre delle «Sem», società di economia mista, antesignane delle nostre Stu) ove, come nel caso che ci occupa, l'ente locale aveva sottoscritto una convenzione con una società mista per la realizzazione di opere, anche da commercializzare, volte alla riqualificazione di un ambito degradato.

Affermato il principio secondo cui le opere che la S.T.U. (rectius, Sem) doveva realizzare vanno classificate come “appalti di lavori pubblici” (punto n. 36), la Corte ha affrontato il nodo dell'affidamento diretto alla società mista dei lavori oggetto della convenzione rigettando le tesi difensive dell'Ente locale (secondo cui la gara non sarebbe stata necessaria, in quanto si trattava di un rapporto diretto tra un'amministrazione aggiudicatrice e un'altra) e affermando la necessità assoluta del procedimento ad evidenza pubblica “ricordando che i casi di esonero sono quelli già tassativamente previsti e affrontati in tutte le sentenze sull'in house” (punto n. 59).

A ben vedere, infatti, le direttive sull'aggiudicazione di lavori pubblici, non contengono alcuna disposizione analoga all'art. 6 della direttiva 92/50, che esclude dal suo ambito di applicazione gli appalti pubblici aggiudicati, a talune condizioni, ad amministrazioni aggiudicatrici (v., per analogia, citate sentenze Corte Giust., 18 novembre 1999, C-107/98, Teckal Srl c. Comune di Viano e Azienda Gas – Acqua Consortile (AGAC) di Reggio Emilia, in Urb. e app., 2000, 227, punto 44, nonché 11 maggio 2006, C-340/04, Carbotermo SpA, Consorzio Alisei c/Comune di Busto Arsizio, AGESP SpA, in www.dirittodeiservizipubblici.it, punto 46).

“Ne deriva che l'amministrazione aggiudicatrice (ma nel caso che ora ci occupa non può parlarsi nemmeno di “amministrazione aggiudicatrice” trattandosi solo di una S.P.A. a prevalente capitale privato, n.d.r.) non è esonerata dal fare ricorso alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori previste dalla direttiva per il fatto che intende concludere l'appalto di cui trattasi con una seconda amministrazione aggiudicatrice (v., per analogia, sentenze Teckal, cit., punto 51; 7 dicembre 2000, causa C94/99, ARGE, Racc. pag. I11037, punto 40, nonché 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I1, punto 47). Tale constatazione non pregiudica, peraltro, l'obbligo di tale ultima amministrazione aggiudicatrice di applicare (in questo caso la S.T.U., n.d.r.) a sua volta le procedure di pubblicazione del bando di gara previste dalla direttiva (v., per analogia, sentenza Teckal, cit., punto 45) (sentenza 18 gennaio 2007, causa C-220/05, Jean Aurox e a. c/ Comune de Roane, punto 62).

Vero è, continua la Corte, “il ricorso alla gara d'appalto non è obbligatorio per appalti conclusi tra un ente locale e un soggetto giuridicamente distinto da quest'ultimo, nell'ipotesi in cui, al contempo, l'ente locale eserciti sul soggetto in questione un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e il soggetto di cui trattasi svolga la parte più importante della sua attività con l'ente o gli enti locali che lo detengono (v. sentenze Teckal, cit., punto 50, e 13 gennaio 2005, causa C-84/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I139, punti 38 e 39)” (punto 61), ma nel caso che ci occupa la S.T.U. è “una società ad economia mista al capitale della quale partecipano (in maniera maggioritaria, n.d.r.) fondi privati esclude che si possa ritenere che il comune eserciti su di essa un controllo analogo a quello che esso esercita sui propri servizi” (punto 62).

Già prima, anche il Consiglio di Stato, pur in presenza della partecipazione pubblica totalitaria, non ha mancato di rilevare che “per quanto concerne i lavori pubblici, (…) in assenza di espressa disposizione di legge idonea a consentirlo, questi non potevano essere affidati in house. (…) Una norma di carattere generale era stata proposta nel primo schema del c.d. codice appalti, ma non è stata poi inserita nel testo finale del D. Lgs. n. 163/2006, a conferma della volontà del legislatore di non generalizzare il modello dell‘in house a qualsiasi forma di affidamento di servizi, di lavori, o di forniture” e di consentirlo solo in caso di espressa “copertura” legislativa (Cons. Stato, Sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514).

Nel caso che ci occupa, peraltro, a differenza dell'ipotesi vagliata dai Giudici di Bruxelles, le opere realizzate non rimarranno in proprietà al Comune, ma verranno commercializzate sul libero mercato (non a caso una delle associate del R.T.I. aggiudicatario è un'agenzia immobiliare), gli utili (stimati in complessivi 18,4 milioni di euro, cfr. piano industriale) percepiti verranno incamerati dalla S.T.U. e, in sede di liquidazione (nel 2015), ripartiti tra gli azionisti in base al numero di azioni possedute (il Comune, come detto, ne ha solo il 30%).

Non v'è dubbio, pertanto, che la convenzione 29 ottobre 2004 è illegittima, è va annullata.

XVI – Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, commi 27 e ss. della legge finanziaria per il 2008 (L. n. 244/07) e dei principi di concorrenza, trasparenza e adeguata pubblicità, non discriminazione e parità di trattamento. Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento dall'interesse pubblico.

Com'è noto, con l'art. 3, comma 27, legge finanziaria 2008, al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società”.

La lettera della norma appare chiarissima nel porre l'accento su due elementi nucleari in relazione ai quali si ammette la partecipazione: la società deve avere come scopo quello della produzione di attività, beni e servizi “strettamente necessarie” per il perseguimento delle “proprie” finalità istituzionali. Non possono più esistere, in altre parole, spazi commerciali sul libero mercato per le partecipate giacchè “l'impresa pubblica non può in nessun modo inserirsi nel mercato privato nel quale costituirebbe un elemento di disturbo e pericolo” (C.G.A., 4 settembre 2007, n. 719).

L'avo della disposizione sopra richiamata, indubbiamente individuabile nell'art. 13 del c.d. Decreto Bersani (D.l. n. 223/06), è stato commentato in sede consultiva dai Giudici di Palazzo Spada ritenendolo “mirato a porre un freno all'incidenza che la composizione di tali società può comportare sull'assetto del mercato, in difesa del principio della libera concorrenzialità. Infatti detti soggetti godono di asimmetrie informative di notevoli dimensioni, in grado di alterare la par condicio con gli altri operatori nello stesso mercato e di eludere sostanzialmente il rischio d'impresa (Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, 9/5/2007, n. 135)” (Cons. Stato, Sez. III, par. 25 settembre 2007, n. 322).

Nel caso che ci occupa, a differenza di quanto richiesto dai richiamati precetti normativi e dalla giurisprudenza, la S.p.a. Tirone – per le attribuzioni conferitele in sede di convenzione, per il fatto che commercializzerà nel libero mercato le opere realizzate e, come se non bastasse, in ragione della partecipazione in misura assolutamente minoritaria dal Comune di Messina senza alcun pregnante controllo sulle attività sociali – viola palesemente il divieto espresso di partecipazione in attività produttive sul libero mercato esteso a tutte le pubbliche amministrazioni nel nostro ordinamento.

A differenza della maggior parte delle S.T.U. create in altri enti locali, peraltro, quella messinese è stata costruita, se è possibile, in maniera ancora più spiccatamente vocata per “stare” sul mercato. Come accennato, infatti, è stata investita del potere di commercializzare a tutti i possibili acquirenti le aree e gli immobili creati che non rimarranno proprietà dell'Ente locale e, dunque, a disposizione della collettività, ma rappresenteranno, esclusivamente, un introito economico per la compagine sociale.

Né potrebbe sostenersi che la norma non trova applicazione nel caso concreto, per essere stato pubblicato il bando e sottoscritta la convenzione prima dell'entrata in vigore della norma stessa. I divieti e le limitazioni ivi contenute, infatti, si traducono in un'incapacità soggettiva della S.T.U. a stipulare ogni tipo di contratto con la p.a.

Pur ritenendo, dunque, che il fatto generatore della preclusione a persistere sul mercato si sia compiuto sotto il regime della vecchia norma (il che, a ben vedere, non è perché la capacità soggettiva a stipulare deve persistere per tutta la durata dell'attività delegata dalla P.A.), in applicazione della c.d. “teoria del fatto compiuto”, è fuor di dubbio che gli effetti prodotti da tale fatto non si fossero ancora esauriti al momento dell'entrata in vigore della nuova norma che tale incapacità soggettiva ha introdotto. Ne consegue che questi sono suscettibili di essere regolati alla stregua dello jus superveniens.

Anche per tali ragioni, dunque, la convenzione è illegittima e va annullata. 

Le superiori censure, anche quando sono riferite ad aspetti specifici del procedimento (ad esempio, la gara per l'affidamento dei servizi e dei lavori o la validità della Convenzione) sono direttamente e immediatamente rilevanti ai fini della tutela dei legittimi interessi dei ricorrenti. L'accoglimento anche di una soltanto delle censure determinerà, infatti, l'invalidità di tutto il procedimento per la strettissima interconnessione e l'unitarietà dell'intervento di trasformazione urbana, così come delineato dall'art. 120, D. Lgs. n. 267/2000 e così illegittimamente condotto nel caso di specie”.

 XVIIViolazione e falsa applicazione dell'accordo di programma sottoscritto il 21/10/2008, dell'art. 34, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, dell'art. 2 della L.r. 7 settembre 1998, n. 23. Nullità della ratifica dell'accordo di programma per sopravvennuta decadenza.

I provvedimenti impugnati sono illegittimi in quanto la ratifica dell'accordo di programma è intervenuta successivamente al termine decadenziale di trenta giorni dallo stesso imposto.

L'art. 4 di tale accordo (“impegni”) disponeva, infatti, che “l'amministrazione comunale di Messina si impegna a sottoporre il presente accordo al consiglio ed a ratificarlo entro 30 giorni dalla stipula dello stesso, a pena di decadenza. Trattasi di clausola che, per la verità, riporta, pedissequamente le indicazioni legislative nazionali e regionali.

Prova ne è che l'art. 34, D. Lgs 18 agosto 2000, n. 267, dispone che “ove l'accordo comporti variazione degli strumenti urbanistici, l'adesione del sindaco allo stesso deve essere ratificata dal consiglio comunale entro trenta giorni a pena di decadenza” e l'art. 2, comma 3, L.r. 7 settembre 1998, n. 23, chiarisce “nell'ordinamento della Regione siciliana, dei comuni, delle province e degli enti locali siciliani trovano immediata applicazione gli articoli 2; 3; 4; 5, comma 4; 6; 10; 12 e 17, commi 8, 9, 10, 24, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 62, 63 e 64 della legge 15 maggio 1997, n. 127, e successive modifiche ed integrazioni”.

L'accordo di programma è stato sottoscritto il 21 ottobre 2008, ragion per cui la ratifica doveva intervenire entro il 20 novembre 2008 ed è evidentemente tardiva la deliberazione del giorno successivo (21 novembre 2008) oggi impugnata.  È pacifico, difatti, che “in base all'art. 27 comma 5 l. 8 giugno 1990 n. 142 (il cui disposto è pedissequamente riportato nell'art. 34, comma 5, D.Lgs 18 agosto 2000, n. 267, n.d.r.), la ratifica da parte del consiglio comunale dell'adesione già prestata dal sindaco ad un accordo di programma deve intervenire entro il termine decadenziale di trenta giorni qualora l'accordo comporti variazione degli strumenti urbanistici” (T.A.R. Lazio, Sez. I, 3 ottobre 1997, n. 1434).

XVII.a. Né, d'altra parte, possano avanzarsi dubbi in merito agli effetti decadenziali del maturato termine. “Al diniego espresso di ratifica, infatti, è equiparato il diniego per silentium connesso, per espressa previsione normativa, alla decadenza per l'inutile decorso del termine di trenta giorni”, che “costituisce per il Consiglio comunale un facile strumento di invalidazione delle modifiche degli strumenti urbanistici” (T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, 2 aprile 2005, n. 1789).

Con la particolare brevità del termine assegnato, peraltro, il legislatore ha inteso  evitare che all'esigenza di una decisione unitaria e contestuale, (altrimenti frammentata in determinazioni plurime dei singoli centri di interessi coinvolti nell'affare), fosse sacrificato il vigente assetto delle competenze amministrative ed ha ritenuto sufficiente, nella ipotesi in questione, una sorta di decisione anticipata del rappresentante dell'ente subordinandone peraltro il consolidamento degli effetti provvisoriamente spiegati medio tempore alla successiva ratifica  dell'organo competente.

Come soluzione legislativa mediata quindi tra l'esigenza di speditezza decisionale connessa all'accordo di programma e il rispetto delle preesistenti competenze, “la ratifica in parola si configura come ratifica sui generis (non ha le connotazioni – incompetenza ed urgenza – proprie della ratifica ordinaria)” alla quale inerisce – solo se intervenuta in termini, consumandosi, viceversa, la decadenza per silentium connesso“un effetto legale di conversione dell'adesione individuale del sindaco in adesione collegiale del Consiglio comunale con conseguente imputabilità delle modifiche degli strumenti urbanistici al Consiglio medesimo che le fà proprie assumendosene la responsabilità” (T.A.R. Campania Napoli, Sez. I, n. 1789/05, cit.).

Nella specie, pertanto, non essendo intervenuta in tempo la ratifica da parte dell'organo competente la variante urbanistica adottata con l'intervento del Sindaco è evidentemente illegittima e va annullata”.

            Quanto sopra premesso e ritenuto,

S I     C H I E D E

che codesto On.le Tribunale voglia dichiarare nulli e/o annullare i provvedimenti impugnati. Con la condanna delle controparti al pagamento delle spese e dei compensi difensivi.

      Ai fini del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dichiara che i motivi aggiunti non mutano il valore della controversia precedentemente dichiarato.

Messina – Catania, 7 ottobre 2009

Prof. Avv. Nazareno Saitta                      Prof. Avv. Antonio Saitta 

Relata di notifica: Io sottoscritto Ufficiale giudiziario addetto all'Ufficio unico notificazioni presso la Corte di Appello di Catania ho notificato il superiore atto mediante consegna di copia conforme all'originale avente mandato speciale a margine a:

1) il Comune di Messina, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato per la carica presso la Casa municipale di Messina. Piazza Unione europea, 1, a mezzo del servizio postale con racc. a.r. n.

 2) Regione siciliana, in persona del Presidente pro-tempore, presso la Avvocatura dello Stato di Catania Via Vecchia Ognina, a mani  

3) Assessorato regionale al Territorio, in persona dell'Assessore pro-tempore, presso la Avvocatura dello Stato di Catania Via Vecchia Ognina, a mani 

4) l'Assessorato regionale ai lavori pubblici, in persona dell'Assessore pro-tempore, presso la Avvocatura dello Stato di Catania Via Vecchia Ognina, a mani

 5) Assessorato regionale ai Beni Culturali, Ambientali E Pubblica Istruzione, in persona dell'Assessore pro-tempore, presso la Avvocatura dello Stato di Catania Via Vecchia Ognina, a mani

 6) Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Messina, in persona del Soprintendente pro-tempore, presso la Avvocatura dello Stato di Catania Via Vecchia Ognina, a mani

7) l'Ufficio del Genio civile di Messina, in persona dell'Ingegnere Capo pro-tempore, presso la Avvocatura dello Stato di Catania Via Vecchia Ognina, a mani

 8) Società di Trasformazione Urbana “Il Tirone S.p.A.” in persona del legale rappresentante pro-tempore, presso la sede di Messina, Via Ugo Bassi, 64, a mezzo del Servizio postale con Racc. A.R. n. __________

 9) Garboli – Conicos S.P.A. Impresa generale costruzioni, in persona del legale rappresentante pro-tempore, presso la sede legale in Roma, Via di Casal Bertone, n. 93, a mezzo del Servizio postale con Racc. A.R. n. __________

 10) Studio FC & RR Associati S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, presso la sede in Messina, Via dei Mille, 101, a mezzo del Servizio postale con Racc. A.R. n. __________

11) Demoter – Demolizioni Movimenti Terra S.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, presso la sede in Messina. Via Nuova Panoramica, 1416, a mezzo del Servizio postale con Racc. A.R. n. __________

 12) De.Mo.Ter. – Demolizioni Movimenti Terra S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, presso la sede in Messina. Via Nuova Panoramica, 1416, a mezzo del Servizio postale con Racc. A.R. n. __________

 13) Ing. Arcovito Paolo Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, presso la sede in Messina, Via Loggia dei Mercanti, 19, a mezzo del Servizio postale con Racc. A.R. n. __________

 14) Ciaquattropareti S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, presso la sede in Messina, Via dei Mille, is. 145, a mezzo del Servizio postale con Racc. A.R. n. __________

 14) Trio S.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, presso la sede in Milazzo, via Kennedy, 31, a mezzo del Servizio postale con Racc. A.R. n. __________

 15) Ingegneria e Finanza, S.r.L. in persona del legale rappresentante pro-tempore, presso la sede in Messina, Via Ugo Bassi, 66, a mezzo del Servizio postale con Racc. A.R. n. __________

16) Comune di Messina, in persona del Sindaco pro tempore, e per esso al procuratore costituito Prof. Avv. Aldo Tigano nel domicilio eletto di Catania, Via Milano, presso la segreteria del T.A.R. a mani


[1] Art. 34, N.T.A. del P.R.G. di Messina:

« In tutti i villaggi, nelle more della formazione del Piano Particolareggiato, sono altresì consentiti interventi di nuova edificazione alle seguenti condizioni:

a) nel caso di sostituzione edilizia, gli immobili da sostituire siano assolutamente privi di valori formali, culturali, storici o ambientali;

b) su strade o spazi pubblici non vengano previsti corpi avanzati rispetto agli allineamenti esistenti o preesistenti;

c) l'altezza massima (misurata all'estradosso e/o al colmo, qualunque esso sia, posizionato più in alto nell'edificio, compreso l'eventuale torrino scala) non superi, analogicamente e per le parti corrispondenti, la maggiore tra le altezze di tutti gli edifici immediatamente circostanti (intesi come fabbricati dotati di una propria autonomia statica);

d) non venga comunque superato l'indice di fabbricabilità fondiaria di mc/mq 3,00, con altezza massima e numero massimo di piani fuori terra (compreso eventuale porticato) pari a m 11 e tre piani; la rispondenza a detti indici e parametri deve essere determinata con i criteri di cui al precedente art. 3;

e) siano rigorosamente e pedissequamente rispettate tutte le prescrizioni particolari riportate nel precedente art. 33 (lettere a, b, c, d, e, f, g) e le stesse siano oggetto di apposita progettazione particolareggiata con particolari costruttivi rappresentati anche alla scala 1/1, da sottoporre all'esame della Commissione Edilizia e degli Enti territorialmente competenti per la salvaguardia dei beni culturali, architettonici ed ambientali;

f) anche l'edificazione di eventuali lotti liberi o il completamento di lotti già edificati avvengano nel rigoroso rispetto di tutte le condizioni sopra indicate ».

[2] Cfr. nota precedente.

[3] Art. 34, N.T.A. del P.R.G. di Messina:

« In tutti i villaggi, nelle more della formazione del Piano Particolareggiato, sono altresì consentiti interventi di nuova edificazione alle seguenti condizioni:

a) nel caso di sostituzione edilizia, gli immobili da sostituire siano assolutamente privi di valori formali, culturali, storici o ambientali;

b) su strade o spazi pubblici non vengano previsti corpi avanzati rispetto agli allineamenti esistenti o preesistenti;

c) l'altezza massima (misurata all'estradosso e/o al colmo, qualunque esso sia, posizionato più in alto nell'edificio, compreso l'eventuale torrino scala) non superi, analogicamente e per le parti corrispondenti, la maggiore tra le altezze di tutti gli edifici immediatamente circostanti (intesi come fabbricati dotati di una propria autonomia statica);

d) non venga comunque superato l'indice di fabbricabilità fondiaria di mc/mq 3,00, con altezza massima e numero massimo di piani fuori terra (compreso eventuale porticato) pari a m 11 e tre piani; la rispondenza a detti indici e parametri deve essere determinata con i criteri di cui al precedente art. 3;

e) siano rigorosamente e pedissequamente rispettate tutte le prescrizioni particolari riportate nel precedente art. 33 (lettere a, b, c, d, e, f, g) e le stesse siano oggetto di apposita progettazione particolareggiata con particolari costruttivi rappresentati anche alla scala 1/1, da sottoporre all'esame della Commissione Edilizia e degli Enti territorialmente competenti per la salvaguardia dei beni culturali, architettonici ed ambientali;

f) anche l'edificazione di eventuali lotti liberi o il completamento di lotti già edificati avvengano nel rigoroso rispetto di tutte le condizioni sopra indicate ».

[4] Invero, l''intervento n. 2 è definito  « Centro artigianale » nella « Relazione illustrativa delle modifiche attuative del PRG » del Marzo 2006 e, più realisticamente, « 2bis Centro commerciale » nelle « Linee guida del Piano industriale » dell'ottobre 2006 allegato allo Studio di fattibilità.

[5] Cfr. nota precedente.

[6] Costruzione di un parcheggio pubblico a sei livelli (c.d. “intervento 1”),  un edificio per uffici in Viale Cadorna , previa demolizione dell'esistente, a dodici elevazioni fuori terra, oltre due interrati a parcheggio (c.d. “Intervento 5”), un edificio per uffici in via A. Martino, ma poi spostato su richiesta della Soprintendenza BB.CC., a nove elevazioni fuori terra, (c.d. “Intervento 6”), un edificio residenziale in Via S. Maria del Selciato, previa demolizione dell'esistente, a otto elevazioni fuori terra, oltre due interrati a parcheggio (c.d. “Intervento 7”).

[7] Secondo l'art. 22, N.T.A. del P.R.G. di Messina, « Sono opere di urbanizzazione secondaria: a) gli asili nido e le scuole materne; b) le scuole d'obbligo; c) i mercati di quartiere; d) le delegazioni comunali; e) le chiese e gli altri edifici per servizi religiosi; f) gli impianti sportivi di quartiere; g) i centri sociali e le attrezzature culturali e sanitarie ».

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