Giacomo Matteotti e il confino a Messina
Forse non tutti sanno che Giacomo Matteotti, il deputato ucciso dalla violenza squadrista nel 1924, trascorse un breve periodo di confino a Messina a causa della sua posizione di intransigente neutralità in tema di politica militare, manifestata durante gli anni in cui era consigliere provinciale a Rovigo.
Il suo vigore antimilitarista, da sempre apertamente manifestato, esplode con particolare enfasi nel corso di un consiglio provinciale, quando Matteotti pronuncia veementi parole contro la guerra. A quel punto, le autorità militari lo richiamano alle armi, mandandolo però il più lontano possibile dal fronte per impedirgli di continuare l'attività di sobillatore.
Questa la motivazione dell'allontanamento dalla città: «è assolutamente pericoloso che questo pervicace, violento agitatore, capace di nuocere in ogni momento agli interessi nazionali» continui a rimanere in una zona tanto delicata come Rovigo, in “stato di guerra”.
Così, è inviato prima a Verona, poi a Cologna Veneta, infine a Messina, dove è assegnato a Campo Inglese dal 27 agosto 1916 al 27 marzo 1917, presso il 4° reggimento artiglieria da fortezza, 97°compagnia.
La permanenza a Messina non sembra essere di gradimento al giovane Matteotti, lontano dalla moglie e costretto a servire per una causa da lui pubblicamente rinnegata più e più volte. Tuttavia, in quel periodo di forzato confino Matteotti legge, studia, pubblica alcuni saggi sulla Rivista penale e la Rivista di diritto e procedura penale, tenta di fare scuola ai soldati analfabeti. La sua opinione sui siciliani non si mostra particolarmente positiva: «Peccato però, perché sarebbero intelligenti e guidati bene potrebbero essere buoni».
Un volume curato da Stefano Caretti, raccoglie tutte le lettere scambiate tra Matteotti e la moglie Velia, comprese quelle relative al suo periodo di permanenza a Messina, dove fu assegnato a diverse Batterie. Da Capo Rasocolmo, scrive all'adorata Velia: “Stasera il mare è una meraviglia; c'è una lunga fila di barche tutte illuminate per la pesca; par d'essere a Venezia”.
Dai contenuti di queste brevi epistole si evince che non soltanto Matteotti era stato internato a Messina come detenuto politico. Nella lettera del 17 agosto 1918, infatti, Matteotti scrive: “…giorni fa la Divisione (il Comando) ha chiesto le informazioni su tutti gli internati militari politici. E il capitano ha chiamato proprio me in segreto a stendere il rapporto, dicendomi di mettere per me tutte le lodi. Nientemeno! Se avessi lo specchio, mi guarderei per vedere se sono davvero diventato un buon militare. Dalla lunghezza del barbone, certo che sì…”
Nel 1919 Matteotti è posto in congedo illimitato e lascia Messina per dare corso al proprio impegno politico a Roma, nelle file del Partito Socialista Italiano prima e del Partito Socialista Unitario poi, al fianco di Filippo Turati.
Morirà il 10 giugno 1924, ucciso dai fascisti, pagando con il sangue il prezzo di una libertà di parola ed opinione già fortemente compromessa dalla dittatura di Mussolini, contestando aspramente i risultati delle elezioni del 6 aprile di quell'anno.