Gli ebrei di Messina e i loro cognomi
Bonanno, Bruno, Costantino. Cognomi comunissimi a Messina. Ma in quanti sanno che i primi a portarli furono ebrei? Vissuti per oltre un migliaio di anni in riva allo Stretto e poi, come tutti i loro correligionari, costretti a lasciare i territori di proprietà della corona di Spagna quando i cattolicissimi Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia li espulsero, non prima di aver confiscato tutti i loro beni, neanche a dirlo.
L'editto è del 31 marzo 1492 e concesse agli ebrei che vivevano nei possedimenti spagnoli, Sicilia compresa, pochissimo tempo per decidere se restare e convertirsi (i cosiddetti “marrani”) oppure abbandonare tutto e andarsene altrove.
Dai documenti sopravvissuti a terremoti e distruzioni, la prima presenza di ebrei a Messina è attestata intorno al IV secolo dopo Cristo, tre secoli dopo la distruzione di Gerusalemme e la diaspora.
In riva allo Stretto la comunità ebraica fiorì senza troppi problemi. Le attività economiche riguardavano soprattutto il commercio con le coste nordafricane, mentre in città molte botteghe artigiane appartenevano al popolo di Davide.
Fu soprattutto durante la dominazione normanna che, come si legge su Wikipedia, “gli ebrei ottennero la protezione e la salvaguardia regia, terminando così il periodo di sottomissione e assoggettamento da parte degli arabi e dei cristiani che caratterizzò i secoli precedenti.
Ma nel 1310 il re di Sicilia Federico II di Aragona adottò una politica restrittiva nei confronti degli ebrei, costretti a contrassegnare le loro vesti e le loro botteghe con la “rotella rossa”. Inoltre, vietò loro qualsiasi rapporto con i cristiani e di avere incarichi nell'amministrazione, oltre che di esercitare la professione medica. Gli ebrei furono rivalutati da re Alfonso, che concesse loro diritti rimasti in vigore fino al momento della loro espulsione dalla Sicilia, decretata da Ferdinando d'Aragona e da Isabella di Castiglia nel 1492.
Alla fine del XV secolo in Sicilia c'erano quasi 40 mila ebrei e la sola Messina ne contava 2 mila. Ciascuna comunità ebrea della Sicilia era chiamata aliama o giudaica (Judaica) o giudecca. Tali comunità, nel tardo medioevo, godevano di una propria autonomia politica, amministrativa, giudiziaria e patrimoniale.
Provvedevano all'imposizione e alla riscossione delle imposte, e svolgevano servizi fondamentali come la scuola, il notariato, l'ospedale, il cimitero, il macello e l'assistenza ai più bisognosi. Ogni giudaica aveva un organo deliberativo rappresentato dal consiglio regionale, che a sua volta eleggeva i proti (che formavano l'organo esecutivo) e il comitato delle imposte (che ripartiva tra le famiglie l'onere dei donativi da versare all'erario). Altri ruoli erano esercitati dall' hazan (addetto al macello), dal mohel (colui che operava la circoncisione) e dagli shammashim (che si curavano della sinagoga).
Il re Martino, nel 1396, nominò un giudice universale ebreo con l'intento di centralizzare il governo di tutte le comunità ebree siciliane. La carica del dienchelele fu soppressa nel 1447 e in seguito la giurisdizione degli ebrei fu affidata dapprima al Mastro Secreto del Regno (conferita nel 1474 al signore di Bivona Sigismondo de Luna), poi al Consiglio Generale ebraico.
Dopo l'espulsione degli ebrei dalla Sicilia, una parte della comunità che si era rifugiata nell'Italia meridionale trovò protezione sotto Ferdinando I di Napoli. Alla morte di quel sovrano e alla conseguente occupazione spagnola videro la propria sorte capovolgersi e lo stesso re di Spagna il 23 novembre 1510 emise un ulteriore atto di espulsione degli ebrei da tutta l'Italia del sud, evitabile solo con il pagamento di 300 ducati.
Di lì a poco neanche gli ebrei convertiti poterono rimanere in Sicilia e in Italia meridionale, perché nel maggio del 1515 furono obbligati ad abbandonare il regno”.
Tornando agli ebrei di Messina e al loro ruolo nella vita della città, è da segnalare un certo Gaudio, che nel 1239 divenne il responsabile della Zecca. Ovviamente, anche se potevano vivere abbastanza tranquillamente, gli ebrei non si integrarono mai con il resto della popolazione. Il ghetto ebraico andava dalla zona del rettorato fino alla via Cardines e dove adesso c'è l'Istituto Jaci sembra vi fosse la sinagoga.
I primi problemi ci furono nel 1221, quando Federico II di Svevia, tanto liberale con la cultura araba, impose agli ebrei di cucire sui vestiti un pezzo di stoffa gialla per individuarli subito e li obbligò a portare la barba. A far peggiorare le cose, come già detto, arrivò nel 1310 Federico II d'Aragona e poi nel XV secolo l'editto che impose che il boia dovesse essere un ebreo.
Quando furono cacciati nel 1492, in un primo momento ripararono a Reggio Calabria e poi a Napoli, Roma, Costantinopoli e in Polonia. Inesistenti le tracce della presenza millenaria degli ebrei a Messina. Di loro resta soltanto la lapide in porfido rosso sulla facciata del Duomo (della quale abbiamo parlato la scorsa settimana).
Le stelle di Davide in ferro battuto dei balconi di Palazzo Penso all'incrocio tra la via Cesare Battisti e la I settembre sono del secolo scorso, perché l'edificio fu costruito dopo la I Guerra mondiale da una famiglia ebraica. E ormai, a ricordare i dieci secoli della presenza ebrea a Messina restano solo i loro cognomi.
Da ricordare – anche la famiglia D’Auria – fra i cognomi degli ebrei che si radicarono a Messina e che si distinsero per prestigiosi incarichi militari e abilità commerciali. La famiglia era abbiente ed i suoi componenti avevano di buon livello culturale. Dopo il terremoto e maremoto del 1908 i documenti anagrafici della famiglia andarono distrutti ed è per questo che i D’Auria riuscirono a sfuggire alle persecuzioni della follia delle leggi razziali istituite dal nazi-fascismo.