Ecco perché “Yo decido”

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Maria Flavia Timbro

Pioveva a dirotto sabato 1 febbraio, c'era vento ed il cielo era di un colore indefinito, non eravamo moltissime ma nemmeno poche.

L'occasione era quella di un flashmob organizzato in contemporanea con le donne di tutta Europa per sostenere il diritto all'aborto delle donne spagnole che il governo Rajoy con una discussa proposta di legge vuole cancellare.

Abbiamo indossato i nostri cartelli e, come promesso, qualcosa di rosso. Guanti, sciarpe, ombrelli, scarpe o cappelli. Ci siamo guardate in faccia e abbiamo deciso di metterci in cerchio per gridarlo prima di tutto a noi stesse : “Yo decido”.

Io decido.

Noi decidiamo. Noi, che abbiamo lasciato i nostri impegni, la spesa, la casa, i figli, lo studio per essere lì, insieme, a dire basta. Ancora una volta basta, per l'ennesima volta basta.

Ce lo siamo anche dette che siamo stanche di lottare sempre e di lottare da sole, spesso additate come uno stuolo di femministe incallite e androgine. Una battaglia che dovrebbe essere di tutti. Uomini e donne.

Perché fare figli è un merito che si divide in due e non farli è una colpa che dobbiamo portare da sole? Perché non si comprende che dietro e dentro una buona legge che regolamenta il diritto all'interruzione di gravidanza c'è prima di tutto la tutela del diritto alla salute delle donne, oltre che del diritto di ogni donna di essere madre o di non volerlo o di non poterlo essere?

E allora basta. Basta con una cultura sessista che aggredisce le donne mettendone in discussione diritti che dovrebbero essere ormai acquisiti, ovvi, garantiti e che invece non lo sono. Dalle pagine di tutti i giornali nazionali gli episodi di questi giorni ce lo gridano chiaramente che la battaglia per la parità tra uomini e donne non è finita. E soprattutto non è vinta.

Ce lo dice lo schiaffone (lui dice involontario) di Dambruoso alla deputata grillina. Ce lo dice la telefonata dei carabinieri che definiscono Provvidenza Grassi (nei giorni scorsi ritrovata cadavere sotto il viadotto di Bordonaro) “una puttana” e “una zoccola” e che, forse per questo verrebbe da chiedersi non l'hanno cercata abbastanza. Ce lo dice il grillino De Rosa che offende le deputate PD insinuando che abbiano fatto carriera grazie alle loro prestazioni sessuali e non ai loro meriti politici. Ce lo dice, da ultimo, Beppe Grillo, che scatena una miriade di insulti sessisti con la domanda posta sul web: “ Cosa faresti in macchina con la Boldrini?”.

Sono tutte parole e immagini, queste, che con quell'urlo abbiamo provato a cancellare, almeno per un istante. Ma sappiamo di non esserci riuscite. Perché la battaglia che stiamo combattendo non è finita.

Perchè il nostro è un nemico impalpabile ma onnipresente, evanescente ma concreto, silenzioso ma allo stesso tempo assordante. Un nemico che ognuna di noi combatte ogni giorno, sul posto di , in mezzo alla gente, perfino in famiglia. Un nemico che si chiama pregiudizio. Non sappiamo quando e come lo sconfiggeremo, ma sappiamo che per farlo non possiamo e non vogliamo essere sole.

Per questo alla prossima manifestazione, al prossimo urlo che lanceremo, alla prossima riflessione che faremo, sarebbe bello se accanto alle nostre scarpe rosse ci fossero le scarpe blu di tanti uomini che credono come noi che i diritti debbano essere tutelati sempre.

E badate che, non a caso, ho detto blu e non azzurre. Perchè l'azzurro è un colore che ci ha stancato. Noi vogliamo uomini, non principi. Abbiamo smesso da tempo di credere alle favole.

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