#C’eraunavoltailcinema. Lo chiamavano Jeeg Robot
Lo chiamavano Jeeg Robot
Paese: Italia
genere: Fantascienza/Azione
Durata: 112 minuti
Regia: Gabriele Mainetti
Con Lo chiamavano Jeeg Robot Gabriele Mainetti si lancia nel mondo del lungometraggio e lo fa a gamba tesa, puntando su un genere peggio che ignorato in Italia, quasi deriso come quello dei supereroi.
Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), un borgataro romano, entra accidentalmente in contatto con una sostanza radioattiva. Non passa molto tempo prima di scoprire di avere ottenuto una forza sovraumana. L'uomo non si fa molti problemi e decide che il tutto è una benedizione. La sua carriera da delinquentello di mezza tacca può fare il grande balzo. Ecco però entrare nella sua vita Alessia (Ilenia Pastorelli), una giovane mentalmente disturbata che è convinta che lui sia l'eroe del famoso anime Jeeg robot d'acciaio.
Centro al primo colpo. Quasi sorprendente, considerati i precedenti risultati fallimentari di accorpare al grande cinema tematiche più vicine al pubblico giovanile o comunque alla generazione dei trentenni di oggi. Dopo il mezzo flop de Il Ragazzo invisibile di Gabriele Salvatores e l'imbarazzante pasticcio di Game Therapy, Mainetti sembra voler indicare la strada: priva i film americani della patina glamour, conferendo un'atmosfera fredda, sporca e dura che trasuda realtà.
Pochi effetti speciali ma ben fatti, contribuiscono a dare la verosimiglianza con il mondo reale e fanno da perfetta cornice per quello che è il cuore del film: la fotografia che presenta location incredibili e dei dialoghi da manuale. La sceneggiatura sa un po' di già visto e come riferimento culturale agli anime forse ricorda più Devilman che Jeeg robot, ma si nota appena nel complesso.
Il cast di attori è ben selezionato e in stato di grazia, su tutti Claudio Santamaria e Luca Marinelli (lo zingaro) si rivelano per i grandi che sono. Il tutto a dimostrazione che la legge enunciata da Stephen King per la scrittura di un romanzo (uno scrittore deve scrivere di ciò che sa) è perfettamente parafrasabile anche per il cinema.
Non basta essere bravi, infatti. Salvatores, che pure è bravo, non è riuscito a dare vita a qualcosa di autentico e bello come in questo caso. Mainetti, nato e cresciuto dentro al crogiuolo culturale che è proprio di questo mondo invece, non solo centra il bersaglio, ma lo fa con naturalezza, rischiando pure di aver dato vita a un capolavoro. Consigliato a chi stava aspettando da una vita.