Donna Vittoria Zapata De Tassis, Messina e le poste siciliane nel ‘600
Nella società moderna altamente tecnologica, computerizzata e tracciabilissima, spedire un pacco può rivelarsi complesso e non ci si stupisce se la missiva arriva in ritardo. Quando tutto intorno a noi era campagna e la Sicilia, il Messico e Filippine erano tutti parte di un unico regno, gestire le spedizioni era molto più difficile. Anche perché molti mezzi di trasporto non erano ancora stati inventati. Il territorio siciliano era tra i più difficili da gestire da questo punto di vista. Non era sicuro come quelli di roma e Napoli e l'orografia del territorio non permetteva di avere uffici ogni otto o dieci miglia come nel resto del regno. Questi fattori comportavano tali perdite di denaro che in una relazione del 1611 si definiva il servizio in Sicilia “di gran spesa e di poco guadagno”.
Messina, sede di vicerè, aveva un ruolo fondamentale in questa “rete globale”. Qui si snodavano vari itinerari dei corrieri sia ordinari che straordinari. Partivano collegamenti marittimi e terrestri che connettevano le tre valli della Sicilia e quest'ultima con le città più importanti del Mediterraneo. Qui i Tassis, gestori delle poste del regno spagnolo, vicino la piazzetta del Pentadattilo, all'ombra della stele dell'immacolata di marmo, costruirono “casa e putia”.
Essere a capo delle poste siciliane aveva numerosi vantaggi: una rendita annua di 30 onze siciliane, possedere il porto d'armi e privilegi sia nel foro che nella milizia terrestre. Gli oneri che derivavano erano altrettanto ingenti. Il corriere maggiore doveva partecipare alle spese dei servizi e al mantenimento delle barche e dei cavalli, avere almeno trenta corrieri salariati e supervisionare personalmente le spedizioni speciali. Durante le epidemie di peste che afflissero la Sicilia del XVII secolo, tutte le lettere spedite dovevano essere purificate con aceto e profumi.
Nel 1670 il servizio torna nelle mani di Vittoria Zapata De Tassis, che l'aveva portata in dote con il matrimonio. Rimasta vedova e senza figli, prese in mano gli affari di famiglia. Già altre due donne della sua famiglia lo avevano fatto: donna Geronima alla fine del ‘500 e donna Vittoria, sua nonna, dal 1612 al 1634.
Le sfide che superò Vittoria dall'anno del suo insediamento in poi furono diverse e decisamente difficili. Iniziò facendo vertenza al fisco regio. Erano stati annullati unilateralmente alcuni contratti precedentemente stipulati con la famiglia. Le fu chiesto anche il risarcimento delle quote percepite in eccesso rispetto a quelle fissate con la Costituzione Prammaticale emanata nel 1584.
A questi grattacapi si aggiunse la rivolta antispagnola scoppiata a Messina nel 1674. Questa fece naufragare la nobiltà filo regia nell'incertezza politico-economica. Ebbe anche delle pesanti conseguenze logistiche, rendendo impraticabili i collegamenti con la Calabria. Vittoria dovette aumentare la flotta, attivando nel 1674 due feluche dei dispacci per assicurare il collegamento postale con Napoli. Nell'ultimo trentennio della propria vita, donna Vittoria Zapata lottò strenuamente per difendere il proprio lavoro e mantenere la Sicilia a un livello di comunicazione il più possibile simile a quello degli altri luoghi del regno. Poco prima di morire, vinse la propria “guerra dei quarant'anni” firmando una transazione con la quale si impegnava a pagare 5.000 onze, pari a 360.000 e a mantenere a proprie spese le feluche dei dispacci. Il fisco, nel contempo, fu obbligato a cancellare tutti i debiti dell'ufficio e si impegnò a mantenere l'erogazione delle somme dovute al Corriere maggiore per garantire il collegamento postale con Napoli.
Così, la Zapata siciliana dimostrò, duecento anni prima di Emiliano in Messico, che è meglio morire in piedi che vivere in ginocchio.