Estorsione e induzione al suicidio, arrestata giovane coppia a Santo Stefano di Camastra
MESSINA. Per più di un anno gli hanno fatto credere che la donna che amava era stata rapita, si trovava segregata ed era sfruttata da un delinquente senza scrupoli che pretendeva continui pagamenti per non farle del male. Una vicenda al limite della verosimiglianza, tragicamente terminata con il suicidio, secondo gli inquirenti indotto, di un 49enne di Santo Stefano di Camastra. In manette sono finiti così Gabriel Acanticai, 26 anni, e la sua convivente Grazia Maria Di Marco, 24, arrestati stamane dai carabinieri in esecuzione di due ordini di custodia cautelare emessi dal gip del Tribunale di Patti Andrea La Spada. L'accusa per Acanticai e Di Marco, formulata dai sostituti procuratori Giorgia Orlando e Alice Parialò della Procura di Patti guidata dal magistrato Angelo Cavallo, è di estorsione e istigazione al suicidio: il 49enne era stato trovato impiccato il 15 febbraio scorso in un appartamento abbandonato. Le indagini condotte dal Nucleo operativo dei Carabinieri di Santo Stefano hanno messo in luce come il suicidio dell'uomo, lungi dall'essere un disperato atto di autodeterminazione, sarebbe stato estrema conseguenza del progetto criminale ordito dalla giovane coppia, ben consapevole delle cospicue risorse finanziarie in possesso della vittima e al tempo stesso della sua fragilità emotiva. Dagli accertamenti condotti, in particolare dall'analisi del contenuto del cellulare della vittima, è venuto alla luce che i due arrestati si sarebbero dapprima adoperati per conquistare la piena fiducia dell'uomo, padrino del loro figlio e soggetto emotivamente fragile, per poi avviare un'opera di manipolazione finalizzata a spogliarlo completamente dei suoi averi. Un tempo di fatto benestanti, la vittima e i suoi familiari da circa un anno erano sopraffatti dai debiti tanto da esser costretti a svendere diversi immobili, riducendosi in povertà assoluta. Questo quanto sarebbe avvenuto nel dettaglio: Acanticai e Di Marco, approfittando della vulnerabilità dell'uomo e ben conoscendo la sua dipendenza sentimentale da una loro familiare, la sorella di Acanticai, gli avevano fatto credere che la donna fosse stata rapita e che il suo rapitore pretendesse denaro in cambio della sua vita. Nella prospettiva di “riscattare” la libertà della donna, la vittima aveva perciò versato oltre 150 mila euro in meno di 12 mesi. Secondo la ricostruzione degli investigatori, il denaro veniva consegnato dalla vittima direttamente agli “amici” tramite ricariche di diverse carte Postepay o in contanti, nella convinzione che quei soldi servissero per aiutare l'amata, nel frattempo ignara del proposito criminale del fratello e della cognata. La messa in scena e le pressanti richieste degli indagati, secondo gli inquirenti avevano inoltre indotto la vittima a ricercare spasmodicamente denaro, chiedendolo in prestito, svendendo beni di famiglia e arrivando ad appropriarsi di parte della pensione percepita dalla madre. Enorme sarebbe stata insomma la pressione psicologica e morale esercitata dalla coppia che era persino arrivata a indurre la vittima, ormai sul lastrico, a commettere ogni genere di crimine, dal furto alla truffa, facendogli ipotizzare persino la rapina e l'omicidio. Il 49enne, infine, avrebbe cercato di resistere alle pressanti richieste di denaro, ma Di Marco non avrebbe esitato a ricattarlo e minacciarlo di gravi conseguenze, anche di fronte alla prospettiva di essere denunciata alla Magistratura. Ora gli arrestati si trovano ai domiciliari.