La battaglia di Lepanto vista dall’impero ottomano

Quanto fu importante la sconfitta di Lepanto per gli Ottomani? Prima di cadere nella trappola tesa dalla propaganda cristiana ed occidentale nel lontano 1571, forse occorre porsi questa domanda, per poi valutare la reale portata della famosa battaglia.
Prima di passare a una impegnativa rievocazione storica dello sbarco di don Giovanni d'Austria a Messina, è necessario qualche sforzo storiografico in più, per non capitombolare nella retorica ideologica dello “scontro di civiltà”, con retrogusto “religioso”.
Grazie agli storici turchi Orhan Koloğlu e Onur Yildirim, ma anche ad ottomanisti occidentali come Ronald Jennings, oggi si può rispondere alla domanda posta sulla percezione avuta a Costantinopoli, sempre in quel lontano 1571 ed ancora nel presente 2011. E la risposta potrebbe essere che è veramente difficile giudicare la battaglia di Lepanto come davvero decisiva. Agli inizi di quello stesso anno gli Ottomani conquistarono Cipro, strappando la grande isola ai Veneziani. Questo elemento fu ritenuto alla corte della Sublime Porta molto più importante della battaglia di Lepanto.
Ciò è attestato molto bene da una conversazione, riportata dai cronisti dell'epoca e ripresa recentemente dallo storico I.H. Uzunçarsılı, avvenuta fra il Gran Vizir Sokullu Mehmed Paşa e l'ambasciatore veneziano Barbaro a Istanbul. Quando quest'ultimo chiese a Sokullu quali piani avessero gli Ottomani dopo la sconfitta di Lepanto, il primo ministro del Divano della Sublime Porta rispose: “Come avete potuto ben osservare, il nostro coraggio non è svanito dopo la battaglia di Lepanto; c'è un certo divario fra le vostre perdite e le nostre. Noi vi abbiamo fatto cedere una terra come Cipro, dove si può erigere un regno, quindi vi abbiamo tagliato un braccio. Mentre la sconfitta della nostra flotta non ha significato niente di più che il taglio della barba. Un braccio perduto non può essere rimpiazzato, ma una barba tagliata ricresce più spessa”.

Sokullu aveva ragione e a confermare la sua tesi contribuirà una ventina d'anni dopo un rinnegato messinese, Scipione Cicala, divenuto ammiraglio della flotta ottomana con il nome di Cigala-zâde Yusuf Sinan Pasha. Proprio lo stesso Sinan Pascià di cui cantava Fabrizio De Andrè qualche anno fa e che oggi meriterebbe una rievocazione. Questa si dovrebbe fare ricordando quella remota estate del 1598, quando Cigala-zâde si presentò con 55 galere nello Stretto di Messina, ma non attaccò la sua città perché voleva solo rivedere la vecchia madre. Il viceré Maqueda sbigottì due volte: prima per l'arrivo improvviso dell'armata navale ottomana, che costò il saccheggio di Reggio Calabria, e poi per le effusioni parentali avvenute sulla nave ammiraglia del rinnegato. Bellissima storia!
In un'eventuale rievocazione di quest'episodio, molto più vicino allo spirito mediterraneo e all'alito dei nostri tempi, potrebbero benissimo essere presenti i figuranti della Compagnia dei Cavalieri della Stella, essendo stata fondata questa tre anni prima dell'apparizione di Cicala nello Stretto. Un po' anacronistica invece è sembrata la loro comparsa alla rievocazione dello sbarco di don Giovanni d'Austria, in quanto non erano ancora nati.
di Giuseppe Restifo