Teatro. Al Biondo di Palermo le piccole storie della Grande Guerra con Mario Perrotta

Mario Perrotta (foto Luigi Burroni)

PALERMO. Mario Perrotta è autore e interprete dello spettacolo Milite Ignoto – quindicidiciotto, che debutta nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo martedì 20 marzo alle 21, con repliche mercoledì 21 alle 21 e giovedì 22 alle 17.30. Inserito tra gli eventi del programma ufficiale per le commemorazioni del Centenario della Prima Guerra Mondiale, lo spettacolo è tratto da Avanti sempre di Nicola Maranesi e da La Grande Guerra, i diari raccontano, il progetto realizzato da Pier Vittorio Buffa e Nicola Maranesi per il Gruppo editoriale L'Espresso e l'Archivio Diaristico Nazionale. Perrotta, considerato uno dei massimi interpreti del teatro-narrazione, interpreta la tragedia della Prima Guerra Mondiale come il primo, vero momento di unità nazionale. È infatti nelle trincee di sangue e fango che gli italiani si sono conosciuti e ritrovati vicini per la prima volta: veneti e sardi, piemontesi e , pugliesi e lombardi accomunati dalla paura e dallo spaesamento per quell'evento più grande di loro. Spaesamento acuito dalla babele di dialetti che risuonavano in quelle trincee. «Per questo – spiega Perrotta – ho immaginato tutti i dialetti italiani uniti e mescolati in una lingua d'invenzione, una lingua che si facesse carne viva. Ho provato a cucire insieme, nella stessa frase, quanti più dialetti potevo, cercando le parole che consentissero passaggi morbidi o fratture violente». Ne è venuta fuori una lingua nuova che ha regalato allo spettacolo un suono sconosciuto ma poggiato sulle viscere profonde del nostro paese.

«Ho scelto questo titolo – aggiunge Perrotta – perché la Prima Guerra Mondiale fu l'ultimo evento bellico dove il milite ebbe ancora un qualche valore anche nel suo agire solitario, mentre da quel conflitto in poi – anzi, già negli ultimi sviluppi dello stesso – il milite divenne, appunto, ignoto. E per ignoto ho voluto intendere dimenticato: dimenticato in quanto essere umano con un nome, un cognome, una faccia e una voce. Nella Prima Guerra Mondiale, gradatamente, anche il nemico diventa ignoto, perché non ci sono più campi di battaglia per i “corpo a corpo”, dove guardare negli occhi chi sta per colpirti a morte, ma ci sono trincee dalle quali partono proiettili e bombe anonime, senza un volto da maledire prima dell'ultimo respiro. Uno sparare nel mucchio insomma, un conflitto spersonalizzato in cui gli esseri umani coinvolti sono semplici ingranaggi della macchina della storia, del meccanismo che li ingoia e li trasforma in cose. E proprio per questo – come sempre accade nel mio lavoro – sono andato controcorrente e ho rivolto la mia attenzione verso le piccole storie, verso gli sguardi e le parole di singoli che hanno vissuto e descritto quegli eventi dal loro particolarissimo punto d'osservazione, perché questo è il compito del teatro, o almeno del mio teatro: esaltare le piccole storie per gettare altra luce sulla grande storia».

 

 

 

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