Mille e mille agende rosse per Paolo Borsellino

Paolo Borsellino

Un rosso vivo avvolge via D'Amelio il 19 luglio. Quello delle magliette e delle agende vendute a offerta libera. Una folla di giovani e vecchi affolla il piazzale dove vent'anni fa il giudice Paolo Borsellino è saltato in aria con la sua scorta. Nessun pianto, solo grida di gioia. Perché Paolo è vivo per loro, è ancora li. Sul palco si avvicendano i suoi compagni di lavoro e di amicizia e leggono a turno la loro “lettera” per Paolo, il loro modo di ricordare un uomo che ha lottato per lo Stato e che proprio da esso è stato lasciato solo. Salvatore Borsellino, fratello del magistrato e fondatore del movimento “Agende Rosse” che organizza l'evento, cerca di mascherare l'emozione, invita tutti a sventolare le agende rosse, simbolo della ricerca di una verità che non è ancora arrivata, ma che sembra vicina. E lo testimoniano le parole di Antonio Ingroia, Roberto Scarpinato, Antonino Di Matteo e Leonardo Guarnotta. Tutti con la voglia di gridare e di far capire che il tempo dei silenzi è finito. Sullo sfondo di questo scenario abbiamo intercettato Marco Travaglio, vicedirettore de Il Fatto Quotidiano, che nonostante l'arrivo sul luogo un po' in ritardo per leggere tre suoi brani, si ferma a parlare con noi.

L'Italia di oggi è quella che commemora le stragi, quella della corruzione dilagante e della crisi che avanza.  Cosa è cambiato rispetto a vent'anni fa? “Oggi abbiamo sicuramente qualcosa in più. Vent'anni fa sembrava che lo Stato fosse da una parte e la mafia dall'altra, Falcone e Borsellino da un lato e i malavitosi dall'altro. Oggi si è capito che parte dello Stato è dalla parte della mafia e ha trattato con essa sottobanco, che la incentivava addirittura a fare le stragi. Finalmente oggi siamo sulla buona strada per arrivare alla verità”.

È più la mafia che fa politica o è la politica che fa mafia? “Beh, la mafia oggi direttamente mentre una volta era condizionata dai politici come Andreotti, che non è nato mafioso ma lo è diventato, diciamo. Le due cose spesso e volentieri rischiano di essere mischiate, come se fossero una cosa sola, anche se ci sono sempre parti sane. La politica usa in un certo senso l'atteggiamento mafioso per i voti, è un qualcosa di più trasversale, mentre la mafia è comunque più diretta e, paradossalmente, più lineare”.

In questi giorni si è parlato del della Sicilia. Come si è arrivati a questo punto? “Questo crac è dovuto ai mal governi che si sono avvicendati in questi vent'anni. Amministrazioni di centrosinistra e di centrodestra hanno favorito oltremisura un sistema di clientelismo con assunzioni a stipendi principeschi e contribuito quindi a creare una rete di funzionari assolutamente inutili, che con il loro lauto guadagno stanno gravando sulla , portandola a un inevitabile collasso”.

In uno scenario sociale e politico come questo, quale messaggio si può dare ai giovani? “Innanzitutto di avere sempre gli occhi aperti, di informarsi su ciò che sta loro intorno perché è un fattore fondamentale per vivere con coscienza…e -conclude ridendo- di leggere Il Fatto Quotidiano.

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