#Messina. E’ morto don Minico, il creatore del “panino alla disgraziata”

Don MinicoIl suo chiosco sui lo ha aperto 59 anni fa. Lui se n'è andato a 94 anni, ma a Messina le Quattro Strade e don Minico sono la stessa cosa.
Domenica scorsa un nostro lettore ci aveva segnalato che il suo chiosco non era aperto, ma si era pensato a una stagionale. Invece stava già male e adesso non c'è più, lasciando il ricordo di un panino, il panino alla disgraziata, che in tutti i messinesi evoca scampagnate in famiglia, gite con gli amici e sparate scolastiche.

Nel suo sito, donminico.com, la sua storia la raccontano così. Una cesta di pane sulle spalle ed interminabili chilometri da percorrere a piedi. Comincia così la lunga storia di Domenico Mazza alias Don Minico e del suo storico locale “Casa di Cura Don Minico” sui Colli San Rizzo, località Quattro Strade. Un solo asso della manica per Don Minico, classe 1921: l'arte di sapersi inventare il lavoro. Poco più che ventenne aveva già sulle spalle una famiglia da mantenere, per cui iniziò a lavorare giovanissimo come garzone di forno nel villaggio collinare di Gesso. Il suo compito dopo la lunga nottata di panificazione, era quello di svalicare i Colli San Rizzo e portare il pane a Messina.

Ripercorreva così gli antichi tracciati già noti in passato, famosi per essere stati testimoni dei Vespri Siciliani i moti di rivolta che nel 1282 videro l'assedio di Messina e la conquista della città da parte degli Aragonesi. Dopo la faticosa salita, arrivato al quadrivio delle Quattro Strade, prima di proseguire per Messina lungo il sentiero che porta alla Chiesa di Santa Maria della Valle “la Badiazza”, Monastero Normanno e cappella reale ai tempi di Gugliemo II, Don Minico si fermava spesso per riposarsi esattamente nel punto in cui adesso sorge il suo locale.

Fu proprio qui, infatti, che Don Minico conobbe un uomo con cui instaurò un buon rapporto di amicizia: il signor Di Stefano. Lui forniva il lievito di birra al forno di Gesso e per arrotondare le sue entrate vendeva gazzose. Ogni giorno si recava ai Colli, in una carretta metteva le bibite e aspettava che qualche passante le comprasse.

Ma le gazzose calde erano attrattiva per pochi. “Se avessi il ghiaccio!” confidò un giorno all'amico. Fu detto e fatto. Don Minico di ritorno dalla città gli portava il ghiaccio e le bibite fredde si vendevano. Ma dopo un po' di anni per il signor Di Stefano, sostenere li peso di due lavori cominiciò ad essere faticoso e con queste parole:”Minico ta rigalu a tia sta carrittedda”, cedette la carretta all'amico. Un grande gesto di generosità.

Per Don Minico da questo momento in poi, i Colli San Rizzo non sarebbero stati più un punto in cui fermarsi e riposare ma il punto in cui continuare a lavorare al ritorno dalla città. Ma era quella carretta ferma in quell'angolo dei Colli San Rizzo che dava molte speranze a Don Minico. A questa attività dedicava sempre più tempo e sempre più persone si fermavano a bere le gazzose fresche.

Il primo chiosco di don Minico
Il primo chiosco di don Minico

Anche l'onorevole Germanà, all'epoca Assessore regionale all'Agricoltura e Foreste, che nella stagione estiva trascorreva le vacanze nella sede della forestale dei Colli San Rizzo, durante le sue passeggiate si fermava a bere qualcosa attorno a questa carretta.

Era il 1956, l'Assessorato all'Agricoltura aveva organizzato alla Fiera Campionaria di Messina una manifestazione per i boschi ed erano state montate delle “baracchette” in legno e per don Minico fu la seconda volta buona per accettare un altro dono.

L'assessore Germanà regalò a Don Minico una baracchetta che giro di pochi giorni fu portata alle Quattro Strade e ricostruita esattamente così come era alla Fiera Campionaria.

La carretta veniva così degnamente sostituita. Lasciato il lavoro al forno di Gesso, Don Minico con il figlio Paolo trascorrevano intere giornate nel chioschetto. La moglie di Don Minico, Donna Razia, approfittava della disponibilità dell'autista del pullman che da Gesso andava a Messina, per fare arrivare il pranzo a marito e figlio: una “'truscia” (fazzoletto di stoffa annodato contenente il pranzo frugale di contadini e muratori) con pane, melanzane e pomodori sott'olio, prodotti che lei stessa realizzava in casa.

Ma non si mangiava mai da soli, c'erano sempre operai della forestale o cacciatori che accettavano volentieri l'invito. Spesso però Don Minico divideva il suo pranzo con i frequentatori dei Colli San Rizzo, ed altrettanto spesso c'era chi ne approfittava lasciandolo senza cibo.

Fu così che un giorno Don Minico decise di fare uno scherzo ad uno dei cacciatori che erano soliti dividere il pranzo con lui inserendo dentro un pezzo di pane condito un intero peperoncino piccantissimo. Il cacciatore mangiò il panino e, con le lacrime agli occhi per il peperoncino davvero piccante disse a Don Minico:- “Michia Minicu! Mi futtisti! Stu pani è disgraziatu comu ‘a ttia! Picchì non ciù vinni ‘ai cristiani?”

Ecco come nacque la Pagnotta alla Digraziata. Con pane, bibite e chitarre in breve tempo il locale di Dn Minico divenne un luogo d'incontro. Nacque cosi' la prima paninoteca di Messina, ed anche del mondo!

Oggi tutti a Messina conoscono la Pagnotta alla Disgraziata, Don Minico e la sua Casa di Cura, famosa per essere considerata 'U mugghiu postu ‘du munnu”.

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