Massimo Dapporto, fedele a se stesso e ai suoi personaggi

Maurizio Donadoni e Massimo Dapporto

Essere uno e tanti personaggi insieme. Chi ci riesce, come Massimo Dapporto, guarda il suo domani con la semplicità di chi ha scommesso su se stesso, di chi spera sempre in un'esperienza più esaltante di quella che sta vivendo e di chi, sul palcoscenico e davanti alla macchina da presa, mostra tutto il pathos di cui è capace. Formatosi inizialmente come attore di teatro, Dapporto esordisce nel 1987 con la regia di Marco Risi e da quel momento è un continuo successo. Così, in una gelida Messina di metà gennaio che batte i denti come non li ha mai battuti, Dapporto, in città per interpretare l'Otello di Shakespeare, ci accoglie nel suo camerino per una chiacchierata.

Oggi cinema e teatro vivono un continuo conflitto sulla tecnica che più fa breccia nella società civile. A suo dire, quale tra le due primeggia? “Io direi che tra i due litiganti la televisione gode. E' il catalizzatore di tutto. Per cui se tu passi dal piccolo schermo pur non avendo grande talento e ti fai vedere in una fiction per qualche mese, diventi più importante di attori che invece hanno una grande preparazione ed esperienza. Si può dire che i valori siano stati sovvertiti e non si tratta più di bravura. Sicuramente la televisione mi ha portato tanto, ma è chiaro che il teatro ti dà importanti possibilità: alimentare il tuo lavoro e la tua arte in una maniera che il cinema e la televisione non possono eguagliare”.

Andiamo al suo spettacolo. La figura di Iago risulta quella sicuramente più problematica, specie se messa a confronto con Cassio. Lei oggi vede questa contrapposizione tra il “furbo e perfido” Iago ed il “nobile e ingenuo” Cassio e la conseguente vittoria del primo sul secondo? “Iago è il personaggio che più di tutti primeggia, sia sulla scena che fuori. E' quello che conquista di più il pubblico. Ma il pensiero di Shakespeare è che non si basa solo su inganni e sotterfugi, ma anche su filosofie di vita. Fa parte delle miserie umane la furbizia, anche se il termine va esaminato in tutte le sue sfaccettature. Oggi purtroppo la furbizia negativa è quella che va piu di moda. Quella positiva è quella di Ulisse, costruttiva e risolutrice. Iago sarà anche cattivo, ma alla gente piace, così come piacciono i politici corrotti ma esibizionisti”.

Un'altra figura di notevole rilevanza è Desdemona. Donna innamorata ed accusata ingiustamente dal marito geloso e uccisa per questo. Le cronache ci raccontano di un'escalation di violenza sulle donne mai visto in Italia. Esiste un collegamento tra la Desdemona di oggi e quella di ieri? “A mio avviso ci sono due collegamenti da fare. Oltre a Desdemona c'è anche Emilia, la moglie di Iago, uccisa a sua volta. Sono due donne che vedono le cose in una maniera completamente diversa. Desdemona non può pensare neanche lontanamente al tradimento, invece Emilia dice che per tutto l'oro del mondo andrebbe con un altro uomo. Ma si tratta di un'altra filosofia femminile, molto più avanti rispetto a quella della moglie del generale. L'autore, del resto, denuncia molte cose nella sua opera: i ragionamenti di Emilia oggi fanno ancora pensare e questo sicuramente va affrontato con la dovuta profondità d'animo”.

E lei invece? In Otello si rivede? “Premesso che io nei personaggi cerco sempre di immedesimarmi, Otello è un paranoico ma lo è di più Iago, che non crede in nessuno. Io mi sento geloso come il generale, ma credo che le donne siamo superiori agli uomini. Certamente è comune il sospetto di fedeltà, ma nel mio caso è più dettato dalla sfiducia in me stesso che da segnali da parte di lei”.

Ha ricevuto la candidatura all'Emmy Arward per l'interpretazione di Giovanni Falcone nella miniserie TV “L'uomo che sfidò Cosa Nostra”. Cosa ha provato nel vestire i panni di uno strenuo difensore dello Stato e contro il quale tuttavia lo Stato non ha esitato ad opporsi, in virtú della difficile situazione politica e sociale Italiana? “Tutte le volte che ti chiamano per fare la parte di un personaggio realmente esistito e non frutto di fantasia, è indispensabile documentarsi su di esso, come ho fatto io. Mi sono preparato in certo modo e più lo facevo più capivo il tipo di persona che era: l'uomo ligio al proprio dovere e mai stanco di lottare. Quando andai per un periodo a New York per girare, la polizia locale mi ha aperto le porte poiché il legame con lui è davvero forte. Ci si immedesima facilmente in tutto quello che gli è successo e personalmente mi commuovo spesso quando passo da Palermo”.

È rimasto celebre il suo doppiaggio della fortunata serie di film Toy Story.Cosa si prova in quest'attività, considerando anche la tenerezza di esercitarla in un cartone animato? “Sicuramente molto bella, ma va precisato che la Walt Disney selezionò molti attori italiani e alla fine fui scelto io. La qualità che richiedono era altissima e questo mi ha caricato di grande orgoglio. Doppiare cartoni è per me fonte di felicità: ti pagano e allo stesso tempo torni bambino, ti diverti e gioisco nel sapere che Buss Lightear è ricordato in maniera così grande. Ricordo come qualche volta i miei amici mi chiamano e desiderano che io con la voce del noto astronauta dica ai loro figli di calmarsi e di obbedire a mamma e papà”.

Shakespeare diceva:”Alla the world is a stage”. Lei è d'accordo con questa frase? “Assolutamente. Il mondo è davvero un palcoscenico. Noi recitiamo dei personaggi che ci sono stati dati alla nascita. Poi a un certo punto smettiamo di vivere il nostro ruolo e ne viviamo un altro, ci svestiamo e ci vestiamo in continuazione, ma forse è proprio questa la nostra natura: essere contemporaneamente tutto e niente“.

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