Giuseppe Lisciotto, un occhio di pesce sulle cose

Capita che l'arte alloggi poche porte dopo la nostra. Senza che se ne abbia sentore. Fino alla scoperta. Capita che lo stupore preceda la consapevolezza, che ci voglia del tempo prima di buttare giù qualche riga per immobilizzarla. E poi lasciarla fluire. E fluire.

Queste le rotte che hanno preceduto il nostro incontro con l'artista messinese Giuseppe Lisciotto. A riprova di quanto poco serva, talora, andare lontano. Per trovare.

L'appartamento dove lavora è una mistura di tele, pennelli, olii e acrilici. Vaghiamo per le stanze e le pupille girano dentro le orbite alla ricerca di nuova meraviglia su cui posarsi. C'è umana attività dappertutto. E c'è talento. C'è stile. Di quelli che speri di trovare a buon mercato nei d' del nord Europa. E che non sempre trovi.

Mare. Tanto mare. E una raccolta, durata anni, di oggetti abbandonati in spiaggia perlopiù da bambini inclini a gettare, sporcare o semplicemente perdere. Oggetti logorati dal tempo, dalla salsedine, dal sole, pur tuttavia integri. E tali, cromaticamente veri, da poter essere imprigionati per sempre nella resina di due meduse e una murena. Isole di spazzatura come quelle del Pacifico. Dentro casa però. A illuminare. E raccontare.

La particolare attenzione dell'artista ai temi ambientali ricorre nei suoi acrilici su tela. Refrain: l'uomo e il mare. Con l'utilizzo di animali marini deputati a svelare l'umana sofferenza. Animali marini che narrano realtà socialmente plausibili. La chiusura del riccio “disadattato” con la sua paperella da bagno lì a riconvocare l'infanzia o una marmora e un delfino che desidererebbero convolare a nozze, a dispetto della loro natura di pesce e mammifero. In tempi di PACS. Quando sulla pinna d'uno squalo è impressa la croce. C'è poi la famiglia del corallo, accanto alla quale sprofonda la tv, che le rema contro. E c'è la mafia della piovra. Tra il rosso sangue e il grigio che sa di smog. C'è la medusa urticante che rende soli. E un buco nell'acqua vicino. La pietra lanciata ai peccatori? C'è la maliarda ostrica, con la sua perla che scivola via.

Come la bellezza. Come tutto quanto risulti inficiato dal tempo.Si imputa all'artista una certa didascalicità. Quasi fosse un'anomalia. Eppure oggi c'è più che mai bisogno di comprensibilità, di quei messaggi che senza troppi ghirigori arrivino ai destinatari con il loro carico di onestà. Mai banale.

Giuseppe Lisciotto usò il primo pennello tra i banchi di scuola, contro il volere dei professori del liceo artistico che ancora non lo ritenevano pronto. Da allora vita e arte, come non di rado accade quando l'estro sposa doti artistiche innate, hanno camminato di pari passo. Il diploma in Illustrazione conseguito all'Istituto Europeo di Design a ha poi contribuito alla crescita tecnica, al perfezionamento di uno stile già personalissimo.

DSC03968Per la collettiva di giovani artisti “Gemine Muse”, contemporanea in varie città d'Italia nel 2007, Lisciotto propose due vedute di Messina. L'una volta a effigiare inquinamento e consumismo, il peggiore impatto ambientale insomma, l'altra squisitamente ecocompatibile e ingemmata da verde, pannelli solari.

Nel ritorno, utopico se vogliamo, alla dimensione naturale.

I paesaggi tutti richiamano l'obiettivo fotografico fish-eye (letteralmente “occhio di pesce”) che abbraccia un angolo di campo fino a 180 gradi. Il grottesco, il deforme non troppo distanti, ahinoi, dalla realtà.

Nel 2010 la Caffè Barbera gli commissionò una tela che avesse come tema il caffè da aggiungere a quelle già realizzate negli anni precedenti da artisti messinesi e stranieri e dai cui particolari estrarre i soggetti per due tazzine in edizione limitata e confezione regalo. Il mondo, nel caso di Lisciotto, diventò allora ciò che ritraeva.

E Messina fu il mondo. Fermato nella sua quotidianità. In tutti quanti i gesti, infinitamente piccoli, che compongono l'abnorme, asimmetrico, deforme, tragicomico mosaico esistenziale.

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