Giancarlo Bregandini, vescovo anti ‘ndrangheta

GiancarloBregantini
Monsignor Bregantini

È conosciuto come il vescovo anti ‘ndrangheta. Perché tra il 1994 ed il 2007 Giancarlo Bregantini è stato il vescovo della diocesi di Locri-Gerace. Una delle zone a più alto tasso delinquenziale della Calabria, dove ha avuto il coraggio di scomunicare «coloro che fanno abortire la vita dei nostri giovani, uccidendo e sparando, e delle nostre terre, avvelenando i nostri campi». 

Eccellenza, parliamo della sua esperienza come vescovo di Locri, in una terra come la Calabria, difficile da capire e da cambiare. 

“E' stata un'esperienza molto bella, carica di suggestioni. Dalla Calabria ho imparato tantissimo, perché questa regione è segnata da tanta fatica, ma allo stesso tempo da grande coraggio. C'è una frase di San Paolo che le si adatta perfettamente: “dove abbonda il peccato sovrabbonda la grazia”. Abbiamo bisogno di capire che la mafia è una grossa connotazione negativa, ma però spinge la società a reagire, come ci hanno insegnato Falcone e Borsellino, in maniera più forte, più densa, più coraggiosa. Questo è il punto: non dobbiamo vedere il male da solo, ma consapevolmente prenderne parte per poi attivare un bene più grande di esso. Questo è il taglio da dare alla lotta antimafia. Non una cosa contro l'altra, quasi fossero cose differenti. Nella logica bene e male sono vicini ed è sempre il bene che deve vincere, partendo però dalla conoscenza del male”. 

Negli anni passati in Calabria ha lavorato a delle importanti sociali per strappare i giovani disoccupati alla ‘ndrangheta.  

“Volevamo valorizzare le tipicità di ogni terra. La Calabria ha un clima tutto particolare: l'estate è caldissima, ma l'inverno è mite. Il trucco è creare una tipicità anche fuori stagione, usufruendo al massimo di una terra così pronta a donare se curata con amore. Ricordo una frase di alcune ragazze disoccupate, che tornando in Calabria dal Trentino dissero: “dunque si può cambiare”. L'esempio più grande è la coltivazione dei lamponi in inverno, mentre in Trentino crescono d'estate. E questa è la dimostrazione di come grazie all'impegno di possa fare qualsiasi cosa, perché è vera la frase dei grandi educatori: “tu solo puoi farcela, ma non puoi farcela da solo”. 

In questa lotta continua contro il degrado le Istituzioni le sono state vicine? 

“Molto. Noi abbiamo sempre lavorato in sinergia con la Regione Trentino e con le realtà ecclesiali. Del resto la mafia non si può combattere da soli, ma solo non escludendo nessuno da questa lotta e dando il massimo nonostante le difficoltà”. 

Si è parlato molto del suo trasferimento nel 2008 a Campobasso. Tanti in Calabria hanno protestato, sostenendo che tutto fosse stato pilotato, lei cosa ne pensa? 

“La questione è complicata sotto tutti i punti di vista. Anziché dilungarmi in qualche cattivo pensiero, preferisco pensare che sia stato tutto un disegno di Dio…”. 

Davanti a questa Italia disastrata, che sta vivendo un momento difficile e che pare non riesca a rialzarsi, cosa si può fare per cambiare? 

“Questo Paese deve radicare di più le radici. L'albero non muore se cadono le foglie, ma se si seccano le radici. Se la crisi rimotiva le radici e le ragioni del vivere, essa diventerà feconda, dipende da come noi la viviamo. La crisi può essere positiva o negativa, tocca a noi gestirla con intelligenza. Ieri si moriva per la tassa sul pane, oggi si muore per altre tasse. Se la gente non è ascoltata o è vista solo con gli occhi dello spread, se i giovani non sono aiutati e i poveri non hanno sbocchi, possono ripetersi episodi di violenza come quelli avvenuti poco prima dell'avvento del fascismo”.

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