#Cultura. Il Mediterraneo protagonista del nuovo saggio di Tusa

"Etiope dopo lo sbarco", scultura di Giuseppe Brancato
“Etiope dopo lo sbarco”, scultura di Giuseppe Brancato

Ogni saggio di Sebastiano Tusa provoca nei lettori forti suggestioni, non solo per la rievocazione di un mondo sepolto nella realtà, tuttavia ancora vivo e ancora palpitante nell'immaginario degli appassionati di studi archeologici, ma anche per la grande capacità affabulatrice dello scienziato-scrittore. “Primo Mediterraneo”(2016, Ragusa, Edizioni di storia e di  studi sociali, pagg. 178) è una sorta di macro-saggio, articolato in dodici capitoli che approfondiscono gli aspetti più suggestivi e interessanti della civiltà mediterranea. Così il lettore percorre il Mar Mediterraneo in senso diacronico e sincronico, ora immerso nell'arcaismo dei mondi insulari, ora ricercando i miti, i riti, le tradizioni e gli usi delle popolazioni indigene. L'attrazione verso l'ignoto, fin dalla preistoria, ha spinto l'uomo a muoversi per conoscere e raggiungere altro da sé, in una continua sfida per oltrepassare la linea di demarcazione tra mare e cielo. Il Mediterraneo descritto da Sebastiano Tusa risulta un corollario essenziale per la conoscenza dei popoli e la commercializzazione dei prodotti. L'iconografia e la testimoniano il fervore culturale che lo ha animato fino a renderlo, come afferma Fernand Braudel “non una civiltà ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”. Dal ritrovamento dell'ossidiana nel Neolitico, inizia un fruttuoso scambio tra popoli rivieraschi in un coacervo di merci, saperi, culture e sistemi mercantili minoici, micenei, fenici, greci e romani.

Le ricerche sottomarine hanno portato e continuano a portare alla luce non solo gli oggetti d'uso nel quotidiano, ma fanno anche risaltare le usanze rituali, le abitudini alimentari, le tendenze eno-gastronomiche. Dai relitti emergono anfore contenenti il garum, una conserva di pesce molto apprezzata dai Romani, oppure il vino, di cui un significativo carico, partito dal Fondi, nel Lazio, è emerso dal mare delle Egadi.

Anche il corallo rosso, proveniente dai pregiati banchi della Sicilia e della Sardegna, è presente nei ritrovamenti  e permette di comprendere il valore apotropaico e curativo attribuitogli dagli antichi. L'umanizzazione del rapporto tra uomo e mare è ben evidente dagli occhi di pietra ritrovati sulla prua di navi affondate negli abissi e anche dalle polene, la cui funzione era quella di impressionare e scacciare il male dall'imbarcazione.

Oggi i protagonisti del nel mare di mezzo sono coloro che offrono la propria vita per una libertà da conquistare e di una dignità da mantenere: i migranti. Tusa scorge nella loro traversata perigliosa un messaggio di salvezza per l'umanità, che nell'accoglienza deve dimostrare di saper portare a compimento il cammino dell'ecumenicità.

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