Alberto Quartana, la musica e l’alchimia degli incontri

Alberto Quartana
Alberto Quartana

Nell'epoca di X-Factor, The Voice e di Amici di Maria De Filippi, che non necessariamente meritano di diventare anche amici nostri, la musica italiana di qualità, quella che ha veramente qualcosa da dire, ha tanto bisogno di persone come lui.

Alberto Quartana, musicista e arrangiatore nato e cresciuto a Messina, nel 2005 ha fondato l'etichetta discografica Leave Music, con sede a Roma, nell'intento di dare spazio ad artisti veri, con identità forti e stili originali, da seguire passo passo per creare prodotti musicali di qualità, in grado di rendere giustizia alla miglior tradizione del cantautorato italiano.

Tra questi spicca Alessandro Mannarino, quello della stracantata e straballata Me so' mbriacato. La poesia e l'acutezza dei suoi testi la dicono lunga sul gusto raffinato che contraddistingue le scelte di Leave Music (sono decisamente degni di nota e di ascolto anche gli altri suoi Tommaso Di Giulio, Tony Canto, Artù.

Nella storia di Alberto Quartana ci sono un'adolescenza tra le vie del centro di Messina,  un periodo a Milano e uno a Los Angeles, il servizio militare, una corso di laurea non concluso per lucida scelta, qualche anno di vita da musicista. Poi la decisione di diventare produttore discografico, un incontro casuale. E il resto, come spesso accade, va da sé.

Dove e quando è nato? “Sono nato a Messina il 19 agosto 1967”.

Che studi ha fatto? “Ho frequentato il liceo scientifico Seguenza, dopo il diploma ho cominciato l'attività di musicista e contemporaneamente mi sono iscritto all'Università, a Economia e Commercio. Quest'ultima è stata una scelta abbastanza inconsapevole. Con il senno di poi posso dire di averlo fatto più per accontentare i miei genitori perché avevo paura che scegliere di fare semplicemente il musicista potesse risultare troppo estremo. Di fatto poi non ho mai conseguito la laurea. Ho studiato chitarra a Milano con Filippo Daccò, poi ho fatto un anno in America, dove ho preso il diploma in chitarra moderna al Musician Instiutute di Los Angeles”.

Si è mai pentito di non aver finito l'Università? “Devo ammettere di no. Ci ero abbastanza vicino, mi mancavano quattro esami, ma era una parte del mio tempo che avrei dovuto dedicare a una cosa che in realtà non mi interessava, che non era in linea col tipo di bagaglio culturale che volevo portarmi dietro. Di fatto, nella mia vita professionale il fatto di non essere laureato non ha mai pesato”.

Come e quando ha deciso di diventare un produttore discografico? “Fino a 35 anni ho vissuto di musica, suonando con alcuni gruppi  e dando lezioni di chitarra. Poi, forse perché quando ti avvicini alla quarantina inizi a tirare un po' le somme di quello che sei e sarai, ho iniziato a mettermi  in discussione. Volevo costruirmi un mio nucleo familiare, avevo bisogno di una qualche forma di progettualità per il futuro. Mi sono chiesto se fare il chitarrista poteva davvero essere la mia vita e a conti fatti ho reputato di non avere il talento necessario per una scelta del genere.

Ho iniziato a ragionare sulla possibilità di crearmi un'attività che fosse però strettamente legata alla musica e all'idea di fondare un'etichetta discografica ci sono arrivato per caso. Capitava che i miei allievi musicisti mi facessero sentire i loro pezzi, magari chiedendomi di aiutarli negli arrangiamenti, così ho messo su un piccolo studio di registrazione casalingo in cui ogni tanto aiutavo i ragazzi con le loro cose. Piano piano, ho iniziato a provarci gusto. Mi piaceva l'idea di riuscire a vedere negli altri una possibilità di , la capacità di esprimersi in un certo modo. E ho capito che così facendo, in un certo senso riuscivo ad esprimere anche me stesso.

Così ho iniziato a fare delle piccole produzioni, ma soprattutto a occuparmi della direzione artistica di un piccolo locale romano in cui organizzare una programmazione di concerti di soli gruppi emergenti con pezzi inediti. Questa attività mi ha permesso di incontrare tantissimi artisti interessanti, tra cui Alessandro Mannarino. Leave Music è nata con lui”.

Com'è avvenuto il vostro incontro? “Ho conosciuto Mannarino tramite il suo batterista, che era anche figlio di un collega di mio suocero. Avendo saputo del mio progetto venne a parlarmi, raccontandomi che stava collaborando con questo cantautore molto bravo, che secondo lui poteva interessarmi. La cosa curiosa è che mio suocero fa il magistrato, un lavoro che con la musica non ha niente a che fare! Così in poco tempo organizzammo nel locale che gestivo un concerto dell'allora sconosciuto Alessandro Mannarino… mi folgorò. Era ancora molto selvaggio nella scrittura e nella composizione, molto più di quanto non lo sia adesso, ma ricordo di aver percepito una grande differenza rispetto alla miriade di giovani musicisti che avevo sentito fino a quel momento, quel qualcosa in più che mi tenne inchiodato alla sedia. E qui entra in gioco la fortuna, perché per una serie di circostanze sono riuscito a guadagnarmi la fiducia di questo ragazzo. In quel momento lui era già abbastanza corteggiato, stava lavorando con un altro produttore. Ma dopo un paio di settimane ho ricevuto una telefonata e da lì è partito tutto”.

Quella del produttore discografico è una figura misteriosa. Come funziona esattamente il suo lavoro? “Senza dubbio, la cosa fondamentale è la ricerca, che attualmente è una cosa che si fa poco. Il mercato musicale sta cambiando, non si fa più lo scouting che si faceva un tempo, con le case discografiche che andavano in giro a cercare talenti a cui dare la possibilità di uscire dal sottobosco. Adesso tutto si consuma in tempi più brevi. La direzione artistica della musica italiana è di fatto in mano ai vari talent show, che offrono alle case discografiche dei prodotti già quasi pronti, ben comunicati. Ma si tratta di prodotti che poi non durano nel tempo, perché non sono stati costruiti partendo dalle fondamenta. Ecco, la mia scommessa è proprio quella di partire da zero e creare per ogni artista una base solida e un progetto che abbia un senso, una struttura forte. Se confezioni un personaggio qualunque e lo metti in televisione, magari vendi subito 200mila copie, ma un attimo dopo la gente ti ha già dimenticato”.

Il lavoro del produttore consiste nel rendere possibili i sogni degli altri, in linea con l'antico e semplice principio della gioia del dare. Lei cosa ne pensa? “In questo settore, spesso si incappa nell'errore di pensare che i meriti siano o tutti dell'artista, o tutti del produttore. In realtà il merito è del momento, di un insieme di casualità che diventano vincenti. Dipende tutto dall'alchimia, dagli incontri. Il produttore deve innanzitutto capire la personalità dell'artista, cosa gli manca. Perché l'artista è spesso una persona insicura, che ha bisogno di essere accompagnata alla ricerca della chiave giusta. Io non sono mai stato un produttore artistico. Io sono la persona che collega i due aspetti, quello artistico e quello più pratico, concreto, che porta a realizzare le cose. In questo trovo la mia soddisfazione personale, ma anche quella di chi ha fatto quel cammino insieme a me. È si un gioco di dare ed avere, ma tutto accade in modo molto naturale. Personalmente bado molto al fattore umano, i contratti sono sempre venuti dopo. Credo conti la fiducia, quando guardandola negli occhi senti che persona hai davanti, secondo me nasce tutto da lì e così deve restare. Nel mio lavoro bisogna cercare di cogliere sempre il bello delle persone e delle cose”.

Domanda di rito: un angolo di Messina a cui è particolarmente legato? “Abitavo in centro, in via Ettore Lombardo Pellegrino, vivevo molto quella zona. A quei tempi non esistevano locali, quindi la vita trascorreva molto con gli amici a casa e la mia era praticamente un porto di mare. Entrava e usciva gente in continuazione, oppure mi chiamavano da fuori con un colpo di clacson. Era una cosa meravigliosa, che se ci penso oggi ancora mi manca. Quindi sì, il mio angolo preferito è proprio la strada di casa mia, con tutte le atmosfere e le sensazioni che mi ricorda”.

E per finire, quale aspetto del suo carattere è secondo lei più legato al fatto di essere nato e cresciuto a Messina? “Credo di avere imparato molto dal mare, che nasconde i suoi abissi sotto una superficie calma. Nonostante io abbia in realtà un carattere piuttosto sanguigno, tutti mi dicono che sono una persona pacata. Ma le mareggiate e le tempeste interne ci sono eccome, anche se ben nascoste”.

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